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Plumbeo, greve cielo milanese. Odore di asfalto bagnato nei parcheggi ormai deserti. Il solito campo minato di vetri di bottiglia, incarti bisunti di panini con la salamella e biglietti d’ingresso calpestati, familiare scenario post-apocalittico del mattino dopo, destinato a sparire nel giro di poche ore per lasciare spazio al prossimo concertone o megaevento. Tanto questi mostri di cemento che si estendono per chilometri e chilometri quadrati non hanno occhi né orecchie, per loro è la stessa cosa ospitare il Gods Of Metal o l’Expo internazionale dei temperamatite elettrici. E poi c’è il silenzio. Un silenzio che ti investe come un TIR, strappandoti temporaneamente alla condizione di beato stordimento in cui musica sublime, decibel, emozioni, folla assatanata, headbanging, miliardi di calorie bruciate, gambe e schiena distrutte e troppo poche ore di sonno ti hanno precipitato dalla sera prima. E l’esistenzialismo post-live show che ti assale alla fermata del passante ferroviario e ti fa domandare: a) perché, a trent’anni passati, ancora non hai messo la capa a posto e non hai smesso di fare il cazzaro e l’animale da concerto; b) perché, a peggiorare le cose, non hai alcuna intenzione di smettere; c) perché alcune band, tra cui sicuramente gli Iron Maiden, hanno una palese responsabilità in tutto questo, tant’è vero che, non appena viene confermata una loro data in qualunque località abbordabile - via treno, aereo, motocicletta, financo a nuoto se necessario – molli qualunque cosa tu stia facendo, sfoderi anfibi e T-shirt d’ordinanza, e ti indebiti per acquistare il biglietto Gold Circle, incurante del fatto che li hai già visti cinque volte e che probabilmente Steve Harris se ti incontra per strada ormai riconosce più te che il suo vicino di casa.
Le passioni non conoscono limiti né regole. Cretinate affini se ne fanno tutti i santi giorni ad ogni latitudine, per l’amante, la macchina, la squadra o la band del cuore. Qualche volta non vanno a buon fine, fa parte del gioco; ma quasi mai ci si pente di averle fatte, in quanto, appunto, fatte per amore o per qualunque altra cosa faccia sentire vivi. Cretinate rigorosamente bipartisan, tanto per smentire che calcio e metallo siano roba da uomini (sull’amante non si pone nemmeno il dubbio). Io, personalmente, sono la dimostrazione ambulante del contrario. E non sono un caso isolato, come dimostrano le numerose ed agguerrite metal girls presenti all’Arena Fiera di Rho. Qualcuna, beninteso, che è venuta solo per mettersi in mostra e non conosce il ritornello di una canzone, dico una, c’è, peggio della gramigna, non te ne liberi proprio; sono una piaga che rovina la reputazione di tutta la categoria. Ma la stragrande maggioranza sono metallare con la certificazione di qualità, e non è il solo fattore di trasversalità che oggi si può apprezzare. Infatti i Maiden sono una delle band storiche che possono vantare legioni di ultras disseminate ad ogni stadio anagrafico della loro quasi quarantennale carriera, tanto che sabato 8 giugno a Rho non è raro imbattersi in gruppi familiari multigenerazionali comprensivi di nonni e nipoti, insieme ad applaudire gli stessi idoli di oggi e di ieri.
E’ vero che il palco, oggi, non è ad uso esclusivo dei leoni britannici, ma il fremito e l’anticipazione che si tagliano con il coltello sono inequivocabilmente tutte per loro. Sarà che i Megadeth hanno pubblicato proprio in questi giorni un album, Super Collider, che magari non è esattamente tonico come ti aspetteresti da loro; ma la loro presenza, pur sempre di peso, sembra essere un po’ offuscata dall’atmosfera creata dall’attesa per la Vergine di Ferro. E allora perché non chiedere direttamente il parere dei diretti interessati su questo nuovo, controverso lavoro? Sul main stage stanno suonando gli iper-sponsorizzati scandinavi Ghost BC: nulla da dire, Papa Emeritus e i suoi Nameless Ghouls si fanno valere e gli applausi sono nettamente superiori ai fischi. Saranno anche poseurs, con quel corpse paint assurdo che fa tanto “Inner Circle Wannabes” e un sound decisamente più dolce rispetto al metal propriamente detto; ma non ha senso pretendere che possano dare, a livello musicale, quello che si può trovare in un King Diamond o in un Ozzy Osbourne, e per quello che devono fare se la cavano egregiamente. Quindi Amen, sempre siano lodati (la benedizione pontificia ad un concerto rock mi mancava, devo dire).
Nel frattempo noi troviamo il tempo di fare una chiacchierata con il chitarrista dei Megadeth Chris Broderick e il batterista Shawn Drover. Il neo-devoto cattolico Dave Mustaine non è coinvolto nell’intervista, ma partecipa a modo suo, vagando irresoluto, sotto lo sguardo tra l’esterrefatto e il divertito di una quindicina tra giornalisti e blogger, tra il camerino, la nostra postazione e la jamming room come uno spirito tormentato dalla chioma fiammante (sebbene abbia perso qualunque espressione facciale ne possa documentare il rovello interiore). Tra un aneddoto divertente, un apprezzamento per la collaborazione con David Draiman dei Disturbed e un ricordo commosso di un altro grandissimo che ci ha lasciato di recente, Jeff Hanneman degli Slayer, Chris e Shawn ci tengono a difendere il loro nuovo album dalle critiche esageratamente aspre che gli sono piovute addosso, in particolare dalle webzine italiane. Nessun artista ammetterà mai di essere apertamente insoddisfatto di una propria opera, men che meno i Megadeth:tra le band “storiche” dell’heavy e del thrash classico, si sono sempre contraddistinti come gli sperimentatori per eccellenza, alla continua ricerca di sonorità melodiche concettuali, a tratti persino sconfinanti nel progressive, ma comunque sempre orbitanti intorno all’inconfondibile stile chitarristico di MegaDave, e anche alla sua – purtroppo – altalenante e umorale ispirazione. E’ dunque logico che, alla dolente ma inevitabile domanda: “Cosa rispondete a chi vi accusa di aver dato alle stampe un album sottotono, troppo molle, persino immaturo per una band come la vostra?”, Broderick e Drover rispondano praticamente all’unisono: “Che noi invece ne siamo contentissimi!” E, dalla leggerezza con cui lo dicono, col sorriso con le labbra, rilassati e cordiali, si capisce che, al di là delle recensioni negative, hanno comunque raggiunto uno status tale da permettergli di fare quel che più gli aggrada, dal punto di vista artistico, senza doversi sentire costantemente sotto esame. Ciò significa entrare a pieno titolo nell’empireo delle leggende del metal, quelle di cui ti senti in dovere di ascoltare anche il disco più insignificante, nuovo o datato che sia, perché e che cavolo, se i Megadeth, proprio loro, hanno deciso di fare così e non in un altro modo, un motivo ci deve essere.
Ci deve essere per forza? Ovviamente no, almeno secondo Chris Broderick, che prosegue: “Siamo soddisfatti perché finché c’è l’ispirazione a creare qualcosa che possa piacere a un pubblico piuttosto che a un altro, una band ha sempre una ragione di essere.” Non ha quindi senso chiedersi, come alcuni stanno facendo, se i Megadeth siano ancora un venticinque per cento dei Big4 del thrash metal. “Siamo una band che si è sentita libera di esprimersi e di suonare come sentiva in Super Collider. E’ un album di grande varietà, con delle parti più oscure e riflessive, altre più accelerate e altre più pesanti.” Ovviamente le nuove tecnologie, i social network, Youtube, hanno trasformato il modo di rapportarsi con i fan. E’ più facile far circolare opinioni e informazioni, ma quello che si perde un po’ è l’effetto sorpresa che ogni nuovo album dovrebbe avere. Sapere tutto in anticipo può portare a lasciarsi condizionare nel giudizio. “E’ proprio così. La tracklist è estremamente diversificata, ma per rendersene conto bisogna prendersi del tempo, ascoltare le canzoni in modo non superficiale e senza pregiudizi.”
I Megadeth, insomma, non si sono certo adagiati sugli allori, a dispetto delle recensioni negative. Auguriamoci che continuino a non farlo, e che la sopraggiunta condizione esistenziale di divinità immanenti del metallo, di cui si diceva poco fa, non li induca a credere di poter effettivamente mettere in musica qualsiasi cosa gli passi per la mente. Il fatto che stiamo parlando della band che ha inciso album come Rust In Peace e Countdown To Extinction dovrebbe comunque offrire un qualche tipo di rassicurazione, ma non si può mai sapere. A dirla tutta, però, a me il vituperato Super Collider non è dispiaciuto affatto, e quindi cerco di approfondirne le tematiche. “A modo suo, ciascuno di noi è affascinato dall’argomento che ci ha ispirato l’intero album: la particella di Dio, gli esperimenti del CERN, la fisica quantistica. Parlare di attualità è un modo particolare di scrivere canzoni, di relazionarsi con il mondo. Infatti, in questo album abbiamo affrontato temi decisamente impegnati, come la depressione in The Blackest Crow e il dramma della perdita dei ricordi in un malato di Alzheimer in Forget To Remember. Per quanto riguarda il rapporto conflittuale tra scienza e religione, dovresti parlarne direttamente con Dave, essendo credente lui ti potrebbe dare una prospettiva diversa della cosa. Noi abbiamo preferito interpretare il nostro Super Collider come un acceleratore di idee in grado di scatenare un importante processo creativo.”
Potrei e vorrei passare settimane intere a discutere dei massimi sistemi con Dave Mustaine, ma, ahimè, il tempo non ce lo consente, per i Megadeth è ormai ora di salire sul palco e dimostrare che, criticati o meno, restano pur sempre una band immensa. Così è, anche se i brani più recenti come Kingmaker e Cold Sweat (originariamente dei Thin Lizzy) non riscuotono – e ci mancherebbe - il calore suscitato da Hangar 18, Countdown To Extinction o Sweating Bullets. Ben riuscita A Tout Le Monde, in duetto a sorpresa (ma neanche tanto, visto che se ne vociferava la presenza) con Cristina Scabbia, sèmper bèla e sèmper bràa, anche se forse la sua inclusione (su iniziativa di MegaDave) nel patrimonio artistico nazionale italiano non era prioritaria.
Ma l’apoteosi, com’è giusto che sia, arriva con il trittico finale ormai entrato a pieno titolo nei grandi classici: Symphony Of Destruction, Peace Sells, e l’epica Holy Wars. Tre titoli che, se vogliamo parlare di metal impegnato e intriso di cruda realtà, ci ricordano che la propensione dei Megadeth per i temi di attualità non è certo una novità dell’ultima ora. E che, per fortuna, ci restituiscono anche una band in grande forma, quella che conosciamo, che amiamo, che sa fare e dare tanto, anche se rispetto ad altri colleghi pecca forse di un pizzico di discontinuità e di sregolatezza in più.
MEGADETH @ Sonisphere 2013, Rho/Milano - 8 giugno 2013 SETLIST:
01. Trust 02. Hangar 18 03. Kingmaker 04. She-Wolf 05. A Tout Le Monde (with Cristina Scabbia) 06. Countdown to Extinction 07. Sweating Bullets 08. Public Enemy No. 1 09. Super Collider 10. Cold Sweat (Thin Lizzy cover) 11. Symphony of Destruction 12. Peace Sells —– 13. Holy Wars… The Punishment Due
(CONTINUA NELLA 2a PARTE)
Articolo del
13/06/2013 -
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