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Che il vecchio Lou si stia sentendo sempre più lontano da quel rock'n'roll che (quando gli gira) sa fare tanto bene, è subito reso evidente dal fatto che si presenta senza batterista. Ed è poi confermato dalla mancata esecuzione del suo classico "Rock'n'Roll" (da "Loaded").
Nella tetra atmosfera bulgara dell'Auditorium romano (che continuiamo a non ritenere adatto a concerti di questa fatta), il genio-poeta di NYC si presenta ai circa 2.000 aficionados con una versione di "Sweet Jane" sciatta e svogliata, impressione in parte attutita dall'eseguirla come una sorta di intro" al concerto vero e proprio. Al suo fianco, il fido Mike Rathke alla chitarra e strumenti similari, la violoncellista Jane Scarpantoni, il bassista Fernando Saunders e il bravissimo cantante di supporto Antony, un tipo alla Jimmy Somerville. Non si può fare a meno di notare quanto sia cambiato Lou Reed, nei comportamenti, negli ultimi anni: in questa afosa serata romana, infatti, si comporta come uno squisito padrone di casa, lontano anni luce dal punk anfetaminico che, nel '78 o giù di lì, dal palco del Bottom Line di New York apostrofava cinicamente pubblico, stampa e chiunque gli balzasse per la capa. Ascoltare il live "Take No Prisoners" per credere a quale veleno provenisse da quella bocca. Oggi, niente di tutto questo: Lou appare rispettoso e compunto, e ci propone una ricca selezione dal suo campionario di canzoni celebri, che è esattamente quello che noi pubblico desideriamo ("The Raven" no, Lou, risparmiaci...). Peccato che il Nostro appaia ormai preda della tristemente nota "sindrome del bardo di Duluth", ovvero, come Bob Dylan, abbia deciso di massacrare senza pietà i suoi brani del passato, fino talvolta a renderli irriconoscibili. Naturalmente, c'è del buono nel concerto di stasera: una valida "The Day John Kennedy Died"; una "Ecstasy", title-track del suo penultimo album del 2000, che ci fa rivalutare canzone e disco in un colpo solo (e ce la riascolteremo al ritorno a casa) e ci fa immaginare che magnifica cocktail-version ne potrebbe tirar fuori Bryan Ferry o qualche crooner di qualità; e anche "Vanishing Act" dall'ultimo "The Raven" ne esce bene, perchè in definitiva la voce di Lou Reed, quando arriva forte chiara e vigorosa, come in questo caso, raggiunge vertici espressivi superlativi. Sull'altro piatto, invece, c'è l'atmosfera generale del concerto, decisamente mortifera, e versioni di pezzi del passato non all'altezza: una "Men Of Good Fortune" (da “Berlin”) eseguita da Lou a mezza bocca; una rumoristica e distorta "How Do You Think It Feels" che dura assurdamente quasi dieci minuti (neanche fosse "Sister Ray") e sa di presa per i fondelli; una "All Tomorrow's Parties" che vorrebbe essere coraggiosamente sperimentale e stravolta ma ricorda invece una specie di Sonic Youth di bassa lega; e perfino la cristallina "Sunday Morning" viene svuotata della potente melodia che la compone per essere praticamente (incomprensibilmente) "recitata" dal suo autore. Il tutto, come si è detto, per un'atmosfera un pò funerea che viene un pò risollevata nel finale da una movimentata "Dirty Boulevard", finalmente in odore di "rock", accompagnata scenicamente dalle movenze Tai Chi del maestro di Reed Ren Guang Yi. Un buon momento, che avrebbe potuto diventare vibrante se Lou si fosse portato appresso un batterista invece di costringere il povero Saunders ad agitare il piede per azionare un meccanismo alla Otto & Barnelli (o alla Bennato prima maniera, se volete). Restiamo con un pò di amaro in bocca; però... poi c'è il bis. E Lou attacca una "Candy Says" da brivido, che per una volta lascia cantare, splendidamente bene, da Antony cantante vero. C'era bisogno di un pò di melodia, in questa serata in cui Lou si è divertito (?) a suonare una specie di colonna sonora da dopo-bomba, ed Antony ce ne fornisce una dose massiccia e salutare. Poi è il turno di un altro brano audience favourite: è "Perfect Day", e la notizia è che stavolta Lou non la stravolge affatto, ma la canta. Alla grande. Dopodichè possiamo anche passare sopra ad una conclusiva "Walk On The Wild Side" rappata e svogliata (anche perchè Lou Reed lo si è visto ormai diverse volte, ma "Walk..." è una di quelle canzoni che dal vivo esegue sempre da schifo, dando l'impressione che si senta costretto a farla).
No, non è stata del tutto una perfect night, ma per stavolta va anche bene così. E' stato un piacere, Lou, ma la prossima volta se recluti un batterista e gli paghi anche il biglietto d’aereo non fai un soldo di danno.
Articolo del
07/08/2003 -
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