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L’organizzazione peggiore di tutti i tempi (numerosi disagi procurati all’ingresso e pass regalati in modo un po’ sospetto, oltre che problemi con le luci del palco), per il concerto migliore (probabilmente) che Lou Reed abbia mai tenuto nel nostro paese; e probabilmente non è neanche un caso che ciò sia successo nel momento in cui Reed decide di presentare per intero quello che con ogni probabilità è il suo miglior disco. Questo la sintesi in poche parole del concerto che domenica sera il songwriter newyorkese ha tenuto ad Arezzo, nell’affascinante e raccolta ambientazione di Piazza Grande.
Dopo un leggero ritardo rispetto all’orario annunciato, il concerto parte con una inedita overture acustica di Sad Song (che nell’album originale, e anche nel concerto, è in ogni caso il brano finale di Berlin) e le prime note di pianoforte che introducono la storia di Jim & Caroline e i ricordi ormai tanto lontani del fumoso locale di Berlin. Un “paradise” ormai perduto, come si evince dal tono beffardo con il quale Lou Reed canta questo brano, se cantare fosse il termine più adatto da associare a questo artista. In realtà l’impressione, forse anche a causa del caldo e stimolante pubblico da piazza, è che Reed viva questo album in maniera molto più distaccata ed ironica di quanto non facesse 30 anni fa e i numerosi sorrisi e gag sciorinati durante la performance non fanno altro che rafforzare questa teoria (forse mandando anche un po’ a benedire l’aura maledetta che circondava questo lavoro). Il concerto viene “ammazzato” subito da una versione furiosa e a tratti straripante di Lady Day (a parere di chi scrive, il miglior brano dell’album del ’73) che esalta a dismisura l’imponente band che l’ex Velvet Underground ha messo su per questa occasione speciale, per questo tour atteso dai fan da decenni e per cui si erano perse ormai da tempo le speranze, fino all’annuncio arrivato lo scorso novembre. Un gruppo che come ossatura presenta collaboratori di vecchia data come Fernando Saunders al basso e Tony Smith alla batteria, supportati da Katie Krykant apprezzatissima vocalist, dal New London Children’s Choir (ragazzini biondissimi e dotati di una voce celestiale, scelti probabilmente consapevolmente per far da contralatare alla crudeltà delle tematiche) e un estratto della London Metropolitan Orchestra; ma sopratutto tra i tanti degni di menzione speciale sono Steve Hunter alla chitarra solista (chitarrista di Alice Cooper, di Berlin e del tour di Rock’n’Roll Animal) e Bob Ezrin il geniale produttore che prende le redini della direzione artistica vicino al mixer. Tutti assolutamente necessari per riprodurre e ampliare il sound di Berlin; ed appunto dicevamo di Lady Day, nella quale tutti i musicisti mostrano una coesione che quasi incute timore nel pubblico tanta è la potenza del sound. Ed i 5, ossessivi, minuti finali di questo brano difficilmente possono essere descritti efficacemente a parole. Il resto della rappresentazione rimane su questi alti livelli con picchi alti come l’interplay chitarristico tra Hunter e Reed su Oh, Jim o in altri brani di matrice più rock, ma anche qualche lungaggine o errore soprattutto dello stesso Lou (che al dire il vero sembra leggermente svogliato nel suonare la chitarra, ma che ha emozionato in lungo ed in largo con la sua unica voce) il tutto intermezzato con la sequenza acustica, intimistica e molto toccante di Caroline Says II, The Kids e The Bed. La tensione e le emozioni in ogni caso non calano mai, e Sad Song eseguita in maniera perfetta con l’ennesima coda musicale è una degna conclusione di questa prima e più ampia parte dello show. Il concerto si conclude in maniera molto più leggera e divertita con i tre classici: Sweet Jane (per la quale viene recuperata una piccola parte della famosa intro del live datato 1974), Satellite Of Love nella quale possono mostrare tutta la loro abilità vocale sia Saunders, con un divertente “giochetto” che Lou mette in piedi, che il coro dei bambini. Ed infine una Walk On The Wild Side che se non fosse per le solite divagazioni strumentali sembrerebbe uscire direttamente da Transformer.
Ed è così che Lou Reed spazza via tutti i dubbi che gli scorsi tour tirati un po’ via avevano instillato in molta gente, dimostrando che se ha voglia e segue un progetto serio (come non potrebbe essere altrimenti questo di Berlin vista la considerazione che lo stesso autore ne ha) può ancora regalare 2 ore di musica straordinaria. Come pochi al mondo. Del resto la sua storia parla per lui.
Scaletta: BERLIN 1) Sad Song Overture 2) Berlin 3) Lady Day 4) Men Of Good Fortune 5) Caroline Says I 6) How Do You Think It Feels? 7) Oh, Jim 8) Caroline Says II 9) The Kids 10) The Bed 11) Sad Song
BIS 12) Sweet Jane 13) Satellite Of Love 14) Walk On The Wild Side
(la foto di Lou Reed che correda l'articolo e tratta dal concerto di Arezzo è di Andrea Belcastro)
Articolo del
11/07/2007 -
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