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Succede, ogni tanto, che un evento sfugga di mano a chi lo ha organizzato. Non è un dramma, al contrario, quando si tratta di rock and roll, il fatto può trasformarsi in una vera fortuna! La nuova gestione dell’Ente Fiuggi decide di aprire al nuovo e chiama ad esibirsi nel vasto piazzale antistante le Terme, due icone del rock targato U.S.A.: Patti Smith e Lou Reed. Accade così che i biglietti delle poltronissime di platea, per un concerto all’aperto, arrivano a costare fino a 65 euro, poco più dietro 45 euro, galleria e posti in piedi, adeguatamente transennati, 20 euro. Ed è proprio in quei settori che si ritrovano, di lato e maledettamente stipati, tanti ragazzi e ragazze giunti da Roma, da Napoli e dalla Ciociaria tutta, mentre paurosi vuoti si notano nelle prime file, quelle centrali, quelli più vicine al palco. Ma quando tutto è pronto, non appena si spengono le luci e Patti Smith entra sulla scena, c’è una prima invasione ed è la stessa Patti ad invitare i ragazzi a farsi sotto, a venire più vicino. L’atmosfera diventa subito più calda e confortevole.L’ “intro” è riservata a “Trampin’”, la “title track” del suo nuovo album, eseguita da Patti “a cappella”, senza alcun accompagnamento musicale. In quel “Trying To Make Heaven My Home” è riassunta tutta l’impostazione poetica-esistenziale della sacerdotessa dell’ underground rock americano che - a 58 anni compiuti - non è stanca di cercare, di sperare e di creare la sua personale sintesi, lirica e visionaria, di rock e poesia. Accompagnata da Oliver Ray, il suo compagno, alla chitarra, Patti ci offre un “live act” totalmente acustico, ma quanto mai appassionato ed intenso. Sembra quasi che la genuinità dell’approccio e la semplicità degli accordi restituiscano a quei brani la loro purezza originaria. Ecco “Mother Rose” e l’incanto poetico di “Wing”, e poi ancora “Grateful” dedicata alla memoria di Jerry Garcia, l’indimenticato leader dei Grateful Dead . E’ il momento degli accordi piacevolissimi e vagamente reggae di “Redondo Beach” che precedono l’esecuzione davvero stupenda di “ My Blakean Years ”, un tributo agli scritti e alle opere di William Blake, artista inglese del ‘700, preromantico, le cui poesie hanno ispirato anche Jim Morrison. Ed ecco la passione estrema e travolgente narrata da “Pissing In A River” dove Patti sembra voler donare tutta se stessa. E ancora le note ipnotiche e incantatorie di “Dancing Barefoot” che precedono un classico come “Because The Night”. Poi la musica si interrompe e Patti invita il pubblico a rivolgere una preghiera per la vita di Simona Pari e di Simona Torretta, chiama alla solidarietà con la manifestazione contro la guerra in corso di svolgimento a Roma e dedica a Simona & Simona l’esecuzione di “Peaceable Kingdom” una ballata lenta tratta da “Trampin’”. Sulla stessa linea, ma con più aggressività e con più ritmo, la ben nota “People Have The Power” e infine una corale “Gloria” scandita e sillabata all’infinito, che chiude il concerto. Quando tocca a Lou Reed salire sul palco, la distinzione fra posti in piedi e posti a sedere non esiste più, siamo tutti in piedi per cercare di vedere e di ascoltare qualcosa. E’ una bolgia! L’ex Velvet Underground, il musicista che meglio rappresenta l’avanguardia rock newyorchese della fine degli anni sessanta, è supportato da Mike Rathke alla chitarra e Fernando Saunder al basso, due nomi che sono una garanzia di qualità e dedizione. Si parte con “Modern Dance”, subito seguita da “Guardian Angel” e da una lucida, ironica, disincantata “Why Do You Talk”. Bellissime anche “Dreaming” e la riproposta di un “traditional” come “Jesus Help Me Finding A Trapper Prey”, fino alla lunghissima “Ecstasy” piena di contrappunti elettrici, ricca di passaggi solo strumentali, regno di chitarre strofinate e dissonanze varie. Lou Reed è ben consapevole dello spettacolo che sta offrendo: “Vi aspettavate canzoni più conosciute? Ebbene, stiamo eseguendo per voi quelle che conoscete di meno” E allora recupera anche una straordinaria “Nobody But You” tratta “Songs For Drella” l’album composto insieme a John Cale e dedicato alla memoria di Andy Warhol. E poi ancora una piacevolissima “Romeo” prima di assecondare finalmente i presenti con “Sweet Jane” e con una ballata elettrica davvero immarcescibile come “Satellite Of Love”. Molti si aspettavano un ritorno di Patti Smith sul palco, magari per cantare qualche brano insieme alla band di Lou Reed. Non è stato così. E ne siamo felici. Questo genere di piacevolezze e di giochini tanto cari a Zucchero e a Pavarotti, non appartengono di certo né alla storia, né all’impostazione fiera e rigorosa di due artisti che hanno fatto del rock urbano, ruvido e scarno, essenziale e visionario, una ragione di vita.
Articolo del
13/09/2004 -
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