Il 5 marzo Lucio Battisti avrebbe compiuto 67 anni. Avrebbe, se non fosse stato portato via da un male incurabile dodici anni orsono.
La sua però è stata una scomparsa solo fisica perché poi, idealmente, Battisti è vivo più che mai e lotta insieme a (io, tu) noi tutti. Oltre alle ricorrenti rievocazioni radiotelevisive, alle retrospettive su giornali e riviste e ai sempre più numerosi libri biografici, sono uscite da qualche settimana le ultime ristampe del suo periodo “classico” (le lussuose e forse definitive versioni della Mogol Edition) e le radio e le tv continuano senza posa a trasmettere le sue canzoni. La verità è che il mito di Battisti - nella sua fase mogoliana, neanche a dirlo - è destinato a non tramontare e, anzi, ad aumentare d’intensità all’arrivo di ogni nuova generazione di pallidi epigoni.
Non fa certo male, quindi, rinfrescare la memoria su colui che indiscutibilmente fu il più grande talento mai espresso dalla discografia italiana. L’occasione ce la offre un’intervista gentilmente concessaci da Mariano Detto alias Detto Mariano, l’arrangiatore e direttore d’orchestra già in forze al Clan di Adriano Celentano, che nella seconda metà degli Anni Sessanta curò la realizzazione effettiva in sala d’incisione delle più importanti canzoni del Battisti dell’epoca d’oro. Ecco il sintetico resoconto di quella che è stata una lunga e istruttiva chiacchierata.
Tu Battisti lo incontrasti per la prima volta nel 1966...
Sì, io sono stato uno dei primi a sentire quello che Battisti scriveva con Mogol. Loro vennero nel mio ufficio al Clan (all’interno del quale mi occupavo della direzione artistica) e vennero per farmi ascoltare un brano da affidare a qualcuno del Clan …insomma …miravano soprattutto a Celentano, …ovviamente. Mi fecero ascoltare “Per una lira”: il primo pezzo che avevano scritto insieme. Mogol incominciò a cantarlo, male, perché è stonato come una campana, mentre il ragazzo che era con lui e che non avevo mai visto prima, stava in silenzio. Mogol me lo aveva presentato come l’autore della musica allora gli dissi: “Fammelo cantare da lui, scusa, così magari ci capisco qualcosa...”. Quel ragazzo allora levò la chitarra dall’astuccio e cominciò a suonare e a cantare. Io ebbi la sensazione d’aver davanti un grande autore. Subito. Tanto è vero che una volta usciti dal mio ufficio chiamai Celentano e gli dissi al telefono: “...Senti Adriano, ti faccio conoscere un autore fortissimo...” Poi, su richiesta della Ricordi, incominciai a fare gli arrangiamenti per le sue canzoni prima che diventasse cantautore e poi anche dopo quando diventò cantautore. Ho sempre avuto una grandissima stima di lui, soprattutto come autore, proprio per il modo in cui mi aveva colpito quella prima volta.
Poi “Per una lira” tu l’hai realizzata per i Ribelli, il gruppo di Celentano, e quindi hai anche fatto “Non prego per me”, la cantava Mino Reitano che seguisti anche a Sanremo nel 1967. Ma Battisti era ancora solo un autore...
Sì, il rapporto lo avevo con lui solo come autore, prima. Poi, quando la Ricordi, e Mogol soprattutto, decisero di fargli iniziare la carriera di cantautore, fui coinvolto anche in questa nuova fase. La prima canzone che avrebbe voluto cantare come cantautore fu “29 settembre”, e, sollecitato da Mogol e da lui stesso incominciai a scriverne l’arrangiamento. Poi però Battisti mi telefonò: “Ciao Mariano, ...se per caso hai già iniziato a scrivere l’ arrangiamento di "29 settembre" dovresti interromperlo perché non la canterò più io ma l’Equipe 84...” Gli dissi immediatamente che secondo me faceva molto male a non cantarla lui perché quella canzone aveva forti potenzialità e se veramente voleva diventare un cantautore quel brano avrebbe potuto lanciarlo. Mi rispose che ancora voleva privilegiare la sua carriera di autore rispetto a quella di cantautore e che quindi rinunciava a favore dell’Equipe 84. Io in quel periodo non avevo nessun rapporto con l’Equipe 84 e lasciai la scrittura dell’arrangiamento lì dove ero arrivato fino al momento della telefonata e cioè a metà circa.
Il vero esordio da cantante, Battisti lo fece di lì a poco con il 45 giri “Luisa Rossi” (l’anno prima aveva inciso la sua versione di “Per una lira” ma fu un’uscita dal profilo decisamente basso). Come mai non l’hai arrangiata tu?
Io mi sono rifiutato di arrangiare due pezzi per Battisti. Sì, proprio rifiutato di farli. Uno è “Luisa Rossi” e l’altro è “Un’avventura” ...quello che cantò a Sanremo [la orchestrò Gian Piero Reverberi insieme al lato B, “Non è Francesca”, n.d.a.]. In “Luisa Rossi” sentivo un riecheggiare di “Eleanor Rigby”, ...qualche cosa che gli somigliava. E io glielo dissi: “Lascia perdere Lucio, fai le cose originali che sai fare e che a me piacciono tanto e che mi stimolano a farti dei bei arrangiamenti”. In quel momento ero io il più forte: lui non era ancora nessuno e io, comunque, ero uno che aveva collaborato a grandi successi. Questo mio comportamento non era un atto di presunzione anche se a prima vista potrebbe sembrarlo, era una via che istintivamente avevo scelto perché così mi sembrava di dargli una mano a stimolarlo a fargli fare delle cose originali.
Posso capire le tue perplessità su “Luisa Rossi”, ma “Un’avventura” era un gran bel pezzo!
Eh va beh ..., ma c’è sempre il motivo per il quale non l’ho fatto. Perché “Un’avventura” è per me la fotocopia psicologica di “Deborah”, il pezzo che l’anno prima aveva cantato [a Sanremo, n.d.a.] Fausto Leali con Wilson Pickett. Lui sarebbe dovuto andare a Sanremo sempre con Wilson Pickett, e con un pezzo che era lento in una parte e poi veloce... E gli dico: “Ma che vai a fare scusa? E’ inutile che vai a fare una cosa […e con le mani indica “che hanno già fatto”] ...Io non ti do di sicuro una mano a farla, per cui, io non ci vengo ...sperando anche che il mio rifiuto ti faccia cambiare idea.” Ma quando comunicai a Battisti il motivo per il quale non gli avrei arrangiato “Un’avventura” mica si buttò dalla finestra: chiamò Reverberi... e a Sanremo ci andò lo stesso... Io, quando componevo gli arrangiamenti ero apprezzato soprattutto perché ero creativo, volevo intervenire creativamente nei pezzi, e quindi, per esserlo dovevo essere stimolato dalle canzoni ...quindi... Un mese e mezzo dopo Sanremo... Un, mese, e mezzo, dopo Sanremo (sottolinea), dopo cioè che non gli avevo voluto arrangiare la canzone che aveva presentato, tornò da me per chiedermi di comporre l’arrangiamento di “Acqua azzurra acqua chiara”. Un mese e mezzo dopo. Io solitamente racconto questo aneddoto per dimostrare che fui io a non voler arrangiare il pezzo e non lui a scegliere un altro arrangiatore. Oggi sembra una cosa macroscopica che ad un musicista Battisti gli chieda di arrangiare una canzone, e quello si rifiuti di farlo. Ma in quel momento era, per entrambi, una cosa del tutto normale.
Facciamo un attimo un passo indietro. Nell’aprile del 1968 Battisti e Mogol ti richiamano per farti arrangiare “Balla Linda” e “Prigioniero del mondo” e Battisti per la prima volta ottiene uno straordinario successo.
Battisti era in sala d’incisione quando ho registrato la base ritmica di “Balla Linda” (non volevo gli autori in sala ma lui in quella circostanza c’era non perché fosse l’autore ma perché era il cantante), io gli chiesi di farla ascoltare ai musicisti e lui lo fece cantando e suonando il piano. Lo suonava bene anche se lo suonava usando praticamente solo tre dita della mano destra. Era sufficiente però per il pezzo perché eseguiva molto bene la scansione ritmica ...tin tin tin... L’ho praticamente obbligato a suonare il piano, non voleva perché mi diceva: “Io sono un chitarrista non un pianista”. Per convincerlo gli dissi: “Senti, suonalo tu perché vedo che funziona, suonalo. Il pianista c’è, lo faccio sedere lì e nel caso tu non ce la facessi ad arrivare fino in fondo lo richiamo al piano al posto suo”. Andò tutto bene però. Se vuoi sapere come avvenne la registrazione della ritmica di "Balla Linda" te lo dico subito, avvenne così: qui c’era il bassista (indica un punto della stanza), qui c’era il chitarrista (indica un altro punto), lì c’era quello e quell’altro, il pianoforte a coda con Battisti seduto davanti e rivolto verso di me era lì (indica un punto davanti a lui) e io ero sul podio col microfono. Il pezzo lo cantavo io, non lo cantava lui come si potrebbe immaginare. Io cantavo il pezzo, come facevo d’abitudine, e lui faceva il pianista perché in quel momento quello era il suo ruolo ed il mio quello di direttore d’orchestra. Molto intelligentemente non metteva bocca su nulla, faceva il pianista come sarebbe stato pianista un turnista e come un turnista avrebbe fatto tutto quello che gli avrei chiesto io. Siccome però quello che faceva lo faceva bene, io non gli chiedevo niente di più di quello che già stava bene facendo.
Mi puoi raccontare come avvenivano le sedute in sala d’incisione?
Io realizzavo le registrazioni con sovrapposizioni successive. L’esperienza mi aveva insegnato che tutta un’orchestra in diretta non poteva eseguire questi pezzi perché batteria e chitarre, ad esempio, suonando molto forte rientravano nei microfoni dei violini o di altri strumenti meno sonori. Non li facevo suonare piano perché dovevano dare la forza del rock... per cui non era possibile separare convenientemente i suoni... Questo avveniva in tutte le registrazioni che realizzavo io e quelle per Battisti non si differenziavano dalle altre. In sala di registrazione ero sempre presente perché ci dovevo essere sempre ...soprattutto durante la registrazione della voce. Colombini [Sandro Colombini, direttore artistico della Ricordi, n.d.a] in sala non ci veniva quasi mai. Il rapporto, durante le registrazioni, era totalmente fra Battisti e me. Neanche Mogol veniva. Li consigliavo io di non venire. Consigliavo loro di non venire proprio perché quello che facevo non si capiva prima dell’ultima sovrapposizione di strumenti. Utilizzavo le prime 3-4 ore solo per curare la ritmica, poi, successivamente, facevo venire i fiati, poi successivamente gli archi etc. etc. etc... Scrivevo tutto sul pentagramma, scrivevo tutto, i violini, i cori, i fiati, le batterie... Scrivevo tutto quanto... In generale, quando i direttori artistici o gli autori della canzone venivano in sala durante la registrazione della ritmica, non si rendevano conto di come sarebbe diventato il pezzo finito. Allora io non gli potevo raccontare ogni volta quello che avrei fatto successivamente. Avevo eliminato gli autori dalla sala dicendo loro: “Non dovete preoccuparvi, perché poi se non vi piacerà quello che ho fatto, avrete sempre il diritto di protestarmi il lavoro...” ...non so se mi sono spiegato bene, volevo dire che era inutile che venissero a sentire la sola ritmica perché ... anche se mi avessero detto: “eh ma guarda che qui è vuoto, manca qualcosa...” Avrei risposto loro, "...qui è vuoto perché poi ci sono ancora gli archi che fanno queste cose (indicando loro le note scritte sul pentagramma)". Questo era il meccanismo per tutte le mie incisioni. Ritornando a quelle di Battisti, Mogol veniva, e Colombini anche, praticamente a cose fatte (naturalmente posso parlare solo per le mie di registrazioni). Prima, mi davano l’incarico ...e poi ...probabilmente si fidavano. Non mi ricordo di avere avuto mai una contestazione da parte di nessuno sui brani completamente realizzati, ...no, non mi ricordo proprio ...i complimenti sì, quelli invece me li ricordo.
Verso la fine del ’68 collabori con Battisti per “La mia canzone per Maria” e “Io vivrò (senza te)”, poi, come abbiamo detto, rinunci a “Un’avventura” ma torni nuovamente a bordo nel ’69, prima per “Acqua azzurra acqua chiara” e poi per la leggendaria “Mi ritorni in mente”: un brano in cui la parte orchestrale svolge un ruolo determinante...
Come dicevo prima, se la canzone non mi piaceva, io non ne componevo l’arrangiamento. Molto semplice. Non perché mi sentissi superiore o chissà che cosa, ma se la canzone non mi piaceva, non mi stimolava nel sistemarla. Perché io sono sempre stato un arrangiatore creativo te l’ho già detto. Ci dovevo mettere del mio dentro. Cioè: all’occorrenza ci mettevo o l’introduzione …o comunque qualcosa di speciale... Battisti quando venne da me con “Mi ritorni in mente”, venne con la canzone che partiva proprio così: “Mi ritorni in mente, bella come sei...” Quell’introduzione con gli archi ce l’ho messa io per cercare di valorizzare la partenza di quella bella frase cantata che mi piaceva tanto. Anche quel rallentato in crescendo che precede l’esplosione d’orchestra nel cambio di tono finale, fa parte del mio lavoro di direttore d’orchestra, perché, non lo dimenticare, gli arrangiamenti non solo li scrivevo, ma li dirigevo in sala di registrazione, oltre poi a curare anche la sovrapposizione della voce ed il mixaggio finale. Solo con il mio “Ok” definitivo passavano al vaglio della Direzione Artistica, Sandro Colombini prima e Mogol poi, che sarebbero potuti intervenire come responsabili finali per eventualmente modificare quanto fatto da me. Cosa però che non avvenne mai. Quando Cantanti, Autori, Produttori e Direttori Artistici venivano da me s’aspettavano proprio questo. Venivano per questo motivo, perché o facevo gli assoli in una certa maniera, o facevo i cambi di tono nei punti in cui ci volevano, o mettevo l’introduzione o le frasi che in qualche modo avevano lo scopo di valorizzare il pezzo oltre a curarne la realizzazione fino al definitivo mixaggio finale...
Nel 1970 arrangi “Insieme” di Battisti-Mogol per Mina e ancora un brano per Battisti, “Fiori rosa fiori di pesco”: l’ultimo, purtroppo. Come mai?
In quel periodo litigai con la Ricordi. Ci litigai. Perché? Perché avevo un contratto di royalties con la Ricordi ...voglio dire che io sono stato uno dei pochi ad avere le percentuali sulle vendite dei dischi di Battisti ...e che ho ancora oggi sì, sulle vendite di quei pezzi da me arrangiati, mi pagano ancora una royalty ...una percentuale sulle vendite ...son contento di questo eh...! Quel contratto prevedeva il due per cento sul prezzo di vendita che, credimi, non è proprio male come percentuale. Ma cosa succede? Succede che in quel 1970, Battisti venne da me perché mi occupassi un suo brano bellissimo dal titolo “Fiori rosa, fiori di pesco”. Io lo ascolto, lo trovo talmente bello e completo nella sua struttura, ...me lo canta poi con un feeling da pelle d’oca ...che ...addirittura mi induce a sconsigliarlo di farmi fare un arrangiamento: “Perché è talmente bello con la chitarra e lo canti così bene che probabilmente io te lo rovino mettendoci su un’orchestra”. Lui dice che va beh, è una battuta e aggiunge “...invece sono convinto che, se ti piace così tanto, ne farai una cosa strepitosa”. Io per cercare di fare un arrangiamento a livello di quella canzone, l’ho scritto e orchestrato quasi come se fosse un brano sinfonico. Mi sono impegnato veramente molto su questo lavoro proprio per non fare brutta figura ed essere all’altezza del pezzo. Che succede però? Succede che nel lato B del disco, cioè in quello che comunemente chiamiamo retro, la Ricordi vuole mettere un brano sempre di Battisti accompagnato dalla sola ritmica e non arrangiato da me (fra l’altro un pezzo molto bello dal titolo “Il tempo di morire”). La cosa non mi piace per niente e, ad aggravare il mio stato d’animo c’è che quel retro viene realizzato in sala d’incisione direttamente da Battisti utilizzando però tutti gli elementi della ritmica che io portavo solitamente da lui per realizzare i miei arrangiamenti dei suoi pezzi. Sì, ...Lucio va da solo in sala con tutta la “mia” ritmica... (era parte di un gruppo che si chiamava “I Quelli” e che poi diventò la “Premiata Forneria Marconi” quando andarono alla Numero Uno). In quel momento però era il gruppo di musicisti-turnisti che portavo con me dappertutto. Li utilizzavo per realizzare la ritmica per le canzoni di Celentano, per quelle di Albano, per quelle dei Camaleonti etc. etc. etc ...oltre a quelle per Battisti naturalmente. Musicisti che sapevano bene quello che volevo e che si adeguavano alla perfezione alle esigenze dei miei arrangiamenti e della mia direzione d’orchestra, nel senso: erano anni che li convocavo e ci capivamo con poche parole a volte solo con gli sguardi: sapevano esattamente quello che volevo. Si trattava di Franz Di Cioccio, Flavio Premoli, Giorgio Piazza, Franco Mussida e altri di quel calibro ...e tu, Lucio, ...prendi tutti questi elementi e te li porti in sala senza dirmi niente? ...Di nascosto?...Poi, realizzi il brano senza l’orchestra perché probabilmente per quel brano l’orchestra non serve ma intanto tu, ...la ritmica me la chiedi, ...perché sono io, lo vedi che sono io che li convoco sempre mentre dirigo i miei arrangiamenti e quindi lo sai che a causa di questo hanno un affiatamento fuori dal comune... La cosa poi, prende un aspetto ancora peggiore perché la Ricordi voleva addirittura dimezzare la mia percentuale dicendo che quel due percento si intendeva un uno percento a facciata e quindi, poiché il retro non l’avevo arrangiato io.... E come, ...dico: “Ma …scusate eh... un’orchestrazione e una direzione d’orchestra come quella di “Fiori rosa, fiori di pesco”, dove ci ho messo dentro l’anima... è sicuramente quello il brano che lancerete perché è decisamente il lato A. ...E non mi date l’intera percentuale?... E in più quello va in sala a realizzare il retro con il gruppo mio... E io me la piglio con voi (Ricordi) e anche con te (Lucio): scusa eh, non mi pare un modo bello di far le cose...”. Battisti, ...[ride, N.d.a.] ...non disse niente e andò avanti per la sua strada. Con la Ricordi interruppi i rapporti e non volli fare più niente.
Dopodiché con Battisti non hai proprio più collaborato?
Battisti dopo due grandissimi successi come “Fiori rosa, fiori di pesco” e “Insieme” che ho arrangiato e realizzato quasi contemporaneamente, non l’ho più né visto né sentito né lui ha cercato più me né io ho cercato lui tanto più che non l’avevo mai fatto. L’ho rivisto una volta per caso - sarà stato il ‘77 – 78, ...o forse l’80... - perché di ritorno da un viaggio a Roma in aereo, mentre andavo a prendere la mia Cinquecento al parcheggio dell’aeroporto, vedo una macchina rossa – io mi ricordo una Ferrari – che si ferma due –tre metri avanti a me. E non esce lui: ma esce la moglie. Perché Grazia, la moglie di Battisti, era stata la mia assistente al Clan per un paio d’anni, per cui ci conoscevamo bene... Mi viene incontro e: “Ah Mariano, ciao che piacere...” Poco dopo lui esce dalla macchina, più che venire verso di me va verso la moglie: “Grazia guarda che facciamo tardi, dobbiamo andare... Ciao Mariano” “...ciao Lucio...” Li ho seguiti mentre risalivano in macchina e mi sono fermato a guardare finche non sono spariti dalla mia vista. Poi, purtroppo, li ho rivisti dentro al carro funebre durante il periodo in cui la televisione si occupava della sua scomparsa...
(Si ringrazia sentitamente Detto Mariano per la collaborazione nella fase di revisione dell'intervista)
Articolo del
08/04/2010 -
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