A cinque anni di distanza dal mini tour che toccò Bergamo, Ferrara e Firenze e dopo essere stati bellamente snobbati nel 2006, i Radiohead ritornano finalmente in Italia, e lo fanno durante le celebrazioni di quello che, con tutta probabilità, è finora il picco più alto della loro carriera. Dopo la pubblicazione del capolavoro In Rainbows, l’attesa per poter ascoltare quei brani dal vivo è cresciuta in maniera spasmodica sin dal giorno in cui le date di Milano sono state annunciate. Attesa diversa invece tra gli spettatori occasionali, che speravano di poter ascoltare quanti più classici possibili (e, come vedremo, in parte sono stati accontentati) e i fan più sfegatati che d’altra parte sognavano chissà quali brani nascosti, b-sides e chicche rare (ma anche loro potranno dirsi soddisfatti).
I cancelli si aprono alle 18:30 e, dopo un set non troppo entusiasmante delle Bat For Lashes, in perfetto orario e quando ancora il sole non è calato alle spalle dell’Arena Civica, sono le note della meravigliosa “Reckoner” a far sciogliere (letteralmente) gli spettatori che fin a quel momento avevano dovuto combattere con crampi, disidratazione e file interminabili. Thom Yorke e compagni sembrano in forma smagliante e sorridenti, e quando attaccano con “15 Step” il concerto incomincia a prendere un ritmo feroce che non perderà più fino alla fine. Una scaletta eccellente, canzoni da tutto il repertorio della band di Oxford (con l’esclusione, abbastanza ovvia, di materiale proveniente da Pablo Honey) scaricate in maniera incessante contro la folla urlante. E, come già accennato, ce n’è davvero per tutti i gusti e palati. Indubbiamente, il focus era incentrato sulla riproposizione integrale, seppur non ordinata ed alternata ad altra roba, di In Rainbows, con esecuzioni fedelissime rispetto alle versioni in studio, salvo per la mancanza di orchestra ed effettistica varia. Si andava dall’intimismo al tramonto di “Faust Arp” con Jonny Greenwood e Thom Yorke pronti a ricamare soffici arpeggi acustici, passando poi al viaggio sottomarino di “Weird Fishes/Arpeggi” dove la spettacolare scenografia allestita per questo tour ha dato il meglio di sé, tra giochi di luce a soffuse tonalità blu che richiamavano direttamente il testo del brano. Ma, come dicevo, anche i nostalgici sono rimasti piacevolmente sorpresi. Oltre ai grandi classici ripescati dal passato come “Paranoid Android” (celeberrima suite, che ultimamente fatica a trovare spazio nei loro concerti), “Airbag”, “Just” e “There There” i fan più smaliziati hanno potuto godere di pregevoli esecuzioni di brani come “The Tourist” (perla di Ok Computer, anch’essa, raramente suonata dal vivo), “Banger’n’Mash” e “Go Slowly” (due splendide canzoni tratte dal cd extra di In Rainbows, la prima con un inedito Yorke alla batteria) ed infine il rap di “A Wolf At The Door” e la prima assoluta in questo tour di “2+2=5” entrambe tratte dal penultimo album Hail To The Thief. Menzione speciale va poi alla doppietta electro di “Everything In Its Right Place” e “Idioteque” che ha mandato i fan in brodo di giuggiole, preceduta qualche brano prima da “The National Anthem” dove tra sintetizzatori, il riff di basso ossessivo e luci ipnotiche c’è stato anche spazio per la telecronaca italiana di Russia-Svezia, mandata in loop dalla radio-sequencer di Jonny Greenwood. Ennesimo colpo di classe di una esibizione al limite della perfezione tecnico-artistica, come lo sono state le superlative linee di basso tracciate da un sempre troppo bistrattato Colin Greenwood, durante “How To Disappear Completely”, capolavoro acustico incastonato in quel mosaico multicolore che è Kid A. Sempre rimanendo in tema di capolavori e di elettronica, rimane l’amarezza di aver visto ignorato un album come Amnesiac, da cui hanno eseguito solo la non eccezionale “Dollars And Cents”. E purtroppo si tratta di una cattiva e inspiegabile abitudine di questo tour 2008. Poca cosa, però, se pensiamo che in due date hanno eseguito qualcosa come 35 canzoni differenti, lasciando fuori una miriade di altri classici (citando a caso: “Fake Plastic Tree”, “No Surprises”, “Creep” e “Talk Show Host”). Non è certo una cosa che tanti gruppi possono permettersi. Le note dolenti sono tutte invece, come al solito, per l’organizzazione che è stata ai limiti dell’indecenza: a partire dall’assenza di un’adeguata presenza di bagni pubblici (pochi e limitati a zone dall’accesso off-limits, se paragonato alla mole di persone presenti), passando poi per l’assurda distanza delle tribune rispetto al palco (c’è gente che non ha sentito e visto niente nonostante abbia speso 60 e passa euro. Arena Civica, quindi, bocciata) e finendo con il volume davvero troppo basso. Tant’è che non è stato difficile poter ascoltare le discussioni di chiunque fosse intorno nello spazio di 15 metri quadrati nonostante la band stesse suonando i pezzi più rock. Qualcuno ha detto che è una decisione del sindaco Moratti contro l’inquinamento acustico. Io dico invece che la gente che paga il biglietto per un concerto rock, deve poter ascoltare la band e non un paio di scalmanati che cantano a squarciagola le canzoni, stonando e andando fuori tempo coprendo del tutto la voce del cantante. Ma la questione sulla cattiva abitudine degli italiani a non rispettare il prossimo in occasione di riunioni di massa come queste, con pogo scatenato e spintoni gratuiti e fuori luogo rispetto alle canzoni, è un altro discorso. Che forse non merita neanche di essere preso in esame di fronte alla grandiosità espressa sul palco da 5 ragazzi, che a Oxford oltre ad esserci nati ci si sono anche laureati. La speranza è che in futuro (magari non fra altri cinque anni) scelgano delle location più raccolte, con una capienza limitata ma capace di contenere ed accogliere al meglio la loro preziosa musica.
Articolo del
29/06/2008 -
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