Vicini alla soglia dei 37 anni di carriera, i Dream Theater sono ormai un’istituzione ben radicata, nel bene e nel male, all’interno del panorama progressive metal mondiale.
Nonostante alcuni importanti cambi di line up alle tastiere e alla batteria (quelli dell’arrivo di Jordan Rudess in sostituzione di Kevin Moore e della breve parentesi con Derek Sherinian e Mike Mangini dietro le pelli, dopo l’abbandono del membro fondatore Mike Portnoy nel 2010), la formazione statunitense ha portato avanti una produzione discografica che ha sempre cercato di superare i confini tracciati da ciò che era venuto prima. Con ben 15 album alle spalle (l’ultimo dei quali è l’ottimo “A View from the Top of the World” uscito il 21 ottobre del 2021), alcuni di essi riconosciuti poi capolavori assoluti del genere, ovvero Images and Words, Awake, Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory, l’obiettivo può considerarsi raggiunto.
Lo stop forzato di tutto il mondo artistico dettato dalla pandemia all’alba del 2020 aveva frenato quello che era il tour di promozione del penultimo album “Distance Over Time” così come le celebrazioni per il ventennale di Scenes (poi racchiusi nello splendido disco dal vivo “Distant Memories - Live in London” pubblicato a novembre 2020). Con ben 3 tappe in Italia (a supporto delle quali vi era la band del cantante, chitarrista e produttore discografico canadese Devin Townsend), il 6, 7 e 8 maggio 2022 rispettivamente a Roma, Milano e Padova, i Dream Theater hanno portato sul palco una scaletta variegata che ha puntato sui capitoli discografici più recenti. Come di consueto per il gruppo, la data romana li ha visti suonare al Palazzo dello Sport all’Eur, luogo certamente non felice in quanto ad acustica ma forse l’unico in grado di ospitare adeguatamente la formazione ed i suoi numerosi appassionati.
C’era un pubblico assai diversificato ad attendere il quintetto, dal giovane ascoltatore magari accompagnato dai genitori, all’adulto metallaro, sino ad arrivare al veterano amante del prog, segno che i Dream Theater sono una band trasversale che ha conquistato con i propri lavori generazioni di età e cultura musicale differenti. Devin Townsend apre egregiamente la serata e per un’oretta circa scalda il pubblico con il suo prog metal diretto e coinvolgente, dialogando spesso con la platea tra un pezzo e l’altro. Dopo aver dato modo di liberare il palco, l’imponente scenografia del tour di “A View from the Top of the World” viene finalmente alla luce. Alcuni pannelli sul fondo fungono da tela dove proiettare i video d’accompagnamento ai brani, mentre ai lati diverse file di luci danzano per le volte del palco e del palazzetto seguendo gli articolati passaggi dei brani.
Ed è proprio con un video, in cui attraverso il visore che campeggia anche sulla locandina del tour osserviamo frammenti d’artwork degli album passati del gruppo, che il concerto ha inizio. Uno ad uno i membri dei Dream Theater (James LaBrie – voce, John Petrucci – chitarra, voce, John Myung – basso, Jordan Rudess – tastiera, keytar, continuum, Mike Mangini – batteria, percussioni) e con “The Alien” inaugurano le due ore abbondanti della serata. Inutile qui disquisire troppo sulle qualità tecniche dei singoli musicisti, ciascuno di loro ha dato prova di essere nel corso degli anni un fuoriclasse assoluto del proprio strumento, in grado altresì di integrare questa abilità al servizio di composizioni articolate e dal minutaggio assai generoso. Così come è futile ricalcare sul fatto che, a quasi 60 anni, James Labrie non abbia più l’estensione e le capacità vocali di 20 anni fa e debba necessariamente ricorrere a qualche aiuto anche in sede live.
Sulla scena Labrie resta un fiume in piena, spesso in movimento tra un estremo e l’altro della scena, mentre nei lunghi passaggi strumentali si eclissa dai compagni andando nel retro del palco. Osservando gli altri, vediamo Rudess al comando di una tastiera capace di inclinarsi da ogni lato (e a cui sostituisce in un paio di occasioni una versione portatile a tracolla che ricorda un’ascia), Myung e Petrucci, il primo indefesso protettore silenzioso del proprio incedere ritmico con il basso mentre il secondo artefice di assoli che sembrano impossibili da compiere con solo dieci dita. E infine Mangini, mattatore assoluto dietro le pelli che non ha mai fatto rimpiangere Portnoy in quanto ad abilità e che ha dalla sua una personalità squisitamente esuberante, protagonista di alcuni dei momenti del concerto in cui con la batteria riesce a dare sfoggio di ogni briciolo del suo potenziale (le lunghe suite “A View From the Top of the World”, “The Ministry of Lost Souls”, “Bridges in the Sky”, ma anche la più corta ma di certo non meno eccezionale “6:00”).
Nonostante l’unico accenno al passato discografico più remoto della band sia dettato proprio dall’eccellente riproposizione di quest’ultima (che ricordiamo è tratta da Awake del 1994) i 9 brani proposti, con l’aggiunta nel bis di “The Count of Tuscany”, fotografano egregiamente l’ottimo stato di salute di questa band leggendaria. Ora non resta che attendere le prossime celebrazioni per il trentennale dell’uscita di uno degli apici musicali dei Dream Theater, quell’ “Images and Words” che nell’ormai remoto 1992 vide l’arrivo di James LaBrie in sostituzione di Charlie Dominici, voce nel primissimo album “When Dream and Day Unite”.
SET LIST The Alien 6:00 Awaken the Master Endless Sacrifice Bridges in the Sky Invisible Monster About to Crash The Ministry of Lost Souls A View From the Top of the World
ENCORE
The Count of Tuscany
Articolo del
08/05/2022 -
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