Una tempesta di ritmo e di good vibes si abbattono su quanti hanno avuto la fortuna ed il gusto di partecipare al concerto di Fatoumata Diawara nel corso dell’ultima giornata del Roma Europa Festival. Sì, ho scritto “partecipare” - e non “assistere” - perché si è trattato di una sorta di happening colorato, appassionato e - a tratti - profetico.
Lei è nata ad Abidjan, in Costa d’Avorio, ma fin da piccola ha vissuto in Mali, dove si è affermata prima come attrice - sia di cinema che di teatro - poi come cantante. Fatoumata attualmente risiede a Parigi, in Francia, ma è tornata in Mali e si è recata poi in Burkina Faso e a Barcellona per completare le registrazioni di Fenfo, il suo nuovo album, un disco formidabile che ha presentato dal vivo questa sera. Dotata di una incredibile presenza scenica, vestita di abiti tradizionali, assolutamente sgargianti, sempre elegantissima nel suo incedere sul palco della Sala Sinopoli, Fatoumata ha urlato in alto il grido di Mama Africa, ha cantato l’oppressione, la povertà e le ingiustizie che frenano lo sviluppo del suo Paese ma - al tempo stesso - è riuscita ad evocare l’Amore e la Speranza, e a coinvolgere tutto il pubblico in una danza liberatoria alla quale si è unito, nel finale, suo figlio, che ha volteggiato sul palco con grande disinvoltura, incoraggiato dalla mamma.
Il bambino è nato nei pressi del Lago di Como, dal matrimonio con Nicolò, un ragazzo italiano: altro momento di gioia e di felicità assoluta per una donna che non dimentica le sue origini, nonostante la celebrità internazionale raggiunta a soli tre anni dal suo esordio come vocalist. Il dono di Fatoumata - oltre al suo carisma innato - è la capacità di fondere la musica africana tradizionale con degli arrangiamenti elettrici tipici del pop-rock. E’ portatrice consapevole dell’eredità di Miriam Makeba e dell’Afro Beat che è stato di Fela Kuti. Ispirata dalle nenie tradizionali del “wassoulou”, una sorta di blues africano, che adatta alle sequenze veloci della sua chitarra elettrica, Fatoumata ci ha presentato delle canzoni formidabili come “Nterini”, un brano che tratta il dramma dell’emigrazione, come “Timbuktu”, “Sowa”, “Kokoro” e la bellissima “Negue Negue”.
La Diawara non concepisce il razzismo, non conosce le differenze determinate dal colore della pelle: “Abbiamo tutti un sangue dello stesso colore” grida durante il concerto “Nessuno ha sangue blù, siamo tutti figli dello stesso Dio!”. Per lei , riconosciuta come nuova sacerdotessa della canzone africana, la vera differenza sta nella visione del mondo, nella sensibilità con cui guardiamo gli altri. Molto particolare l’esecuzione di “Sinnerman”, una cover di una canzone di Nina Simone, un’artista per cui manifesta grande rispetto e tanta riconoscenza. Fatoumata è accompagnata sul paco da una band di tutto rispetto che vede Yacouba Kone, alla chitarra solista, Arecio Smith, alle tastiere e Sekou Bah e Jean Baptiste Gbadoe, rispettivamente al basso e alla batteria.
Il finale del concerto vede il pubblico abbandonare le poltrone della platea per andare a danzare sottopalco e partecipare ai cori che - per quanto eseguiti in lingua bambara - risultano estremamente comunicativi. E’ stato un abbraccio, caloroso e forte, da parte di una donna che vuole restituire dignità alla cultura africana e al tempo stesso si sente intimamente parte del mondo occidentale, all’interno del quale vive e lavora da diversi anni con assoluta semplicità e armonia
(foto di Viviana Di Leo)
Articolo del
26/11/2019 -
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