Confesso che quarant’anni fa io c’ero a celebrare le nozze tra la poesia di Fabrizio De André e il rock della , un matrimonio che in quell’era sembrava impossibile e che invece sarebbe risultato tutt’altro che sacrilego. Così, quando il 29 luglio Cristiano De André e la Pfm son saliti insieme sul palco dell’Arena di Verona, ho avuto la percezione – come ha detto Cristiano – che un cerchio si fosse chiuso; due ere musicali e sociali diverse con un filo rosso che le unisce.
È la prova reale di quanto Eduardo De Filippo faceva dire a un suo personaggio diventato padre che nella commedia Mia famiglia: “Io non muoio più, non posso morire più, un figlio è parte di te stesso”. Fabrizio vive nella musica di Cristiano che suona tutti gli strumenti, apre e chiude il concerto di Verona con in mezzo un set della Pfm. Il concerto è diviso in tre parti: la prima è di Cristiano che con la sua band eccellente, (Osvaldo Di Dio, chitarre; Riccardo Di Paola, tastiere e programmazioni; Davide Pezzin, basso; Davide Devito, batteria; Giancarlo Pierozzi, ingegnere del suono), esegue l’opera rock Storia di un impiegato, epicentro del tour che sta portando in giro dall’inizio dell’anno; il lavoro più complesso di De André arriva finalmente al pubblico trasversale dell’Arena.
Alle spalle dei musicisti, su uno schermo gigante, scorrono le immagini degli anni di piombo in Italia che la regista Roberta Lena ha voluto incastonare nelle canzoni per avvalorare la tesi che “non ci sono poteri buoni”. Tempi di terrorismo nero e rosso e di stragi che hanno solo favorito il potere costituito. Il primo set si chiude con due canzoni tratte dal disco l’Indiano: “Quello che non ho” e “Fiume Sand Creek” che esaltano il suono della band e di Cristiano che suona chitarre, piano e violino. Breve interruzione per cambiare gli strumenti sul mega palco dell’Arena e arriva la Pfm, capitanata dal guascone Franz Di Cioccio che nel ‘79 suonava la batteria con Fabrizio e ora, armato di bacchette e tamburello, canta. Il gruppo che al momento del tour con Fabrizio era reduce dai trionfi in America, è rinforzato con il ritorno in squadra di Flavio Premoli< alle tastiere e di Michele Ascolese, chitarra; ci sono il bassista Patrick Djivas, Lucio Fabbri, violino, Roberto Gualdi, batteria, Alessandro Scaglione, tastiere, Alberto Bravin, chitarra acustica e tastiere, Marco Sfogli chitarra elettrica.
La Pfm attinge nel repertorio deandreiano dagli inizi sino a Rimini, quindi al 1978; si ferma lì ma ce n’è abbastanza. Sono canzoni spesso legate alla morte, da “Marinella gettata nel fiume da uno dei suoi clienti”, al “Giudice vittima delle malignità della gente”. La Premiata esegue poi due pezzi autobiografici di Fabrizio, “Giugno ‘73” che esalta il basso di Djivas ed Amico fragile che nessun chitarrista volle suonare al tributo del Carlo Felice nel 2000 non per le difficoltà tecniche ma perché dentro quelle note si nasconde la magia e il carisma di De André. Poi Di Cioccio e soci eseguono una suite dalla Buona novella, il disco tratto dai Vangeli apocrifi. Una scelta che ha una motivazione: all’alba degli anni Settanta, Fabrizio incise quel disco in studio con dei “turnisti”, gli stessi musicisti che di lì a poco avrebbero formato la Pfm. Fatto curioso: la band della Premiata non si sarebbe più incontrata con De André per una decina d’anni sino al 1978 quando il gruppo andò a suonare a Nuoro. Fabrizio ascoltò quel concerto e il giorno dopo invitò tutti a pranzo all’Agnata. E lì, tra un piatto di funghi e un fiume di vermentino, nacque l’idea del tour. Quando la notizia del connubio De André-Pfm divenne ufficiale, i critici musicali storsero il naso e lo stesso accadde per molte persone affezionate alla prima produzione di De André il quale sino ad allora cantava l’amore, la morte, le puttane e i ladri in un mix tra Brassens, folk e musica classica.
Ma De André era un uomo curioso anche musicalmente tanto che negli anni Ottanta, con molto coraggio, avrebbe concepito quel capolavoro rivoluzionario che è Creuza de ma. Fabrizio decise di lanciare la sfida: molti cantautori anglosassoni avevano avuto una svolta rock e persino Bob Dylan era stato contestato per la scelta di elettrificare le sue canzoni; lui in Italia era il primo. Con la Pfm, Fabrizio diventò più cantante: nella seconda strofa di “Amico fragile”, pezzo autobiografico pubblicato nel ‘75 in Volume VIII, sale di un’ottava, inimmaginabile sino ad allora. E soprattutto quegli arrangiamenti diedero un vestito consono ai tempi ad alcune vecchie perle del canzoniere. Le perplessità iniziali sparirono e fu un trionfo.
Torniamo all’Arena di Verona. È già passata la mezzanotte quando s’inizia il terzo tempo del concerto con Cristiano De André e Pfm impegnati a pescare a piene mani dal doppio album registrato dal vivo nel 1979. Ci sono cinque pezzi tratti da Rimini: “Avventura a Durango”, “Rimini”, “Andrea”, “Volta la carta” e “Zirichiltaggia” che fa esaltare il violino di Cristiano accanto a Lucio Fabbri. In mezzo “Via del Campo” – è inutile dire che tutto è partito da quella strada dell’angiporto genovese – e “La guerra di Piero” arrangiata in modo tradizionale e cantata in duetto da Cristiano e Di Cioccio.
Si chiude con il “Pescatore”, tra tutte l’arrangiamento più rock; son passate tre ore ma nessuno è stanco. Cristiano aveva chiesto al pubblico di scambiarsi “un cinque” di pace e gli spettatori avevano risposto all’invito; ora è Di Cioccio che chiede “un muro” di mani che infatti si sollevano nell’Arena. È festa, come nel brano della Pfm che scalò le classifiche americane. Resta da fare una piccola riflessione se mai dovesse esserci un’altra data con la Premiata e Cristiano insieme: la Pfm è stato uno dei gruppi più importanti della musica prog e ha puntato tutto sulla forza della sua musica e per questo non ha voluto mai avere in squadra un cantante. Ha innovato la canzone italiana e penso a “Impressioni di settembre” che al posto del classico ritornello fa risuonare un moog. Meriti indiscutibili, acquisiti sui palchi ma se dovesse esserci un altro concerto, immaginiamo la Pfm con Cristiano che canta. Sarebbe un’altra storia da raccontare
(foto di Adolfo Ranise)
Articolo del
02/08/2019 -
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