A tre anni di distanza dai suoi ultimi concerti in Italia, Bob Dylan torna ad esibirsi dal vivo qui da noi. Lo attende la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, gremita in ogni ordine di posto e pronta ad alzarsi in piedi e ad applaudire non appena Dylan e la sua band fanno il loro ingresso in sala.
Bob Dylan si siede subito al pianoforte e intona “Things Have Changed”, brano inserito nella colonna sonora di “Wonder Boys” e che nel 2001 gli è valso un Academy Award come migliore canzone tratta da un film. Seguono classici come “Don’t Think Twice It’s All Right” e “Highway 61 Revisited”, più una memorabile rock ballad come “Simple Twist Of Fate”, il primo vero momento davvero emozionante della serata.
La band accompagna a dovere le incursioni di Dylan all’interno del suo enorme repertorio, un libro aperto dove Passato e Presente convivono senza mai intralciarsi fra loro. E’ stato questo un periodo molto fortunato per Bob Dylan: Premio Nobel della Letteratura a Stoccolma nell’Aprile del 2017, la pubblicazione di Triplicate, una sorta di song book sulla storia della canzone USA e quindi di Trouble No More - The Bootleg Series Vol.13 sembrano aver dato nuova linfa al cantautore che tanti anni fa ha reinventato la musica americana e che ha aperto al Folk la strada verso il Rock.
Incurante del suo status, naturalmente schivo e poco propenso a soffermarsi sui vari riconoscimenti che gli piovono addosso, Bob Dylan rimane quello di un tempo: let the music do the talking è da sempre il suo motto, nessuna parola di circostanza, niente convenevoli, non presenta nemmeno i musicisti che fanno parte della sua “tour band” (e sì che sono davvero molto bravi) e si preoccupa solo di fornire uno spettacolo all’altezza del suo nome.
Meno tracce del suo repertorio anni Sessanta, più spazio invece a degli standard quali “Autumn Leaves” di Yves Montand, “Once Upon A Time” di Tony Bennet e “Melancholy Mood” di Frank Sinatra. Ma l’atmosfera rimane la stessa e le sensazioni che ci regalano la sua voce non sono facilmente descrivibili: “Lovesick”, per esempio, è una slow ballad nervosa, elettrica accompagnata da una performance vocale da brividi, così come “Pay In Blood” e “Early Roman Kings”, i due brani tratti da Tempest, album a dir poco straordinario.
Solo nel finale, quando Bob Dylan torna sul palco e l’atmosfera è più rilassata, ascoltiamo le note di “Blowin’ In The Wind” e di “Ballad Of A Thin Man”, due classici, due canzoni che fanno parte ormai non solo del periodo della Contro Cultura e del Movimento pacifista della fine degli anni Sessanta, ma della storia della Letteratura americana.
Bob Dylan, a quasi 78 anni di età, accenna un sorriso, ma non cede di un millimetro nel suo atteggiamento. Non un “grazie”, non un “arrivederci”, ma non si tratta di essere sgarbati o scontrosi, come gli rimproverano da più parti. Vuole soltanto sottrarsi a quei meccanismi che creano celebrità, miti e figure funzionali ai mass media. Niente da dire, quasi scappa via, nel suo mondo, fino al prossimo appuntamento. Concerto mozzafiato, un gruppo che aveva tanto rhythm & blues nel sangue e Dylan assolutamente unico nel trasformare in poesia quelle note musicali suggerite dalla sua tour band
(foto di Viviana Di Leo)
Set List Things Have Changed Don't Think Twice, It's All Right Highway 61 Revisited Simple Twist of Fate Duquesne Whistle Melancholy Mood (Frank Sinatra) Honest With Me Tryin' to Get to Heaven Once Upon a Time (Tony Bennett) Pay in Blood Tangled Up in Blue Soon After Midnight Early Roman Kings Desolation Row Love Sick Thunder on the Mountain Autumn Leaves (Yves Montand) Long and Wasted Years
Encore: Blowin' in the Wind Ballad of a Thin Man
Articolo del
04/04/2018 -
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