Saranno almeno dieci volte che rispondiamo alla chiamata di Parker Griggs presentandoci alla sua corte senza alcun timore perché sostenuti da una fede pentatonica e convinti delle sue capacità funamboliche sulle corde della Stratocaster.
I Radio Moscow tornano in Italia per presentare New Beginnings titolo che porta con sé aria di cambiamento, ma prima delle raffiche micidiali di Parker prestiamo un orecchio ai Kaleidobolt.
In 40 minuti sputano 6 brani rock and roll boogie con ampie sezioni psichedeliche e jam lunghi in cui a volte, questo chitarrista di Helsinki, sembra una sorta di Alvin Lee più roccioso iper vitaminizzato e maledettamente veloce. Rombano come un motore di 250 cavalli fumanti, macinano riff, stop and go, infilano cavalcate a perdifiato e anche il batterista, correndo notevoli rischi proprio oggi nel 2017, si prende il suo momento di gloria con un buon assolo che non sconfina nel cattivo gusto mantenendo un minutaggio accettabile.
Alle 22.50 Griggs è sul palco, gilet nero, jeans a zampa di mammut, lunghi capelli castani e il solito sorriso sornione che lo accompagna prima degli show. Poi come se un interruttore nascosto scattasse di botto, il chitarrista diventa di colpo serio e taciturno incanalando tutte le sue energie nelle due chitarre sul palco.
Lo show, ovviamente, prevede una serie di algidi pezzi grossi del passato messi a confronto con il nuovo materiale più psycho-boogie che dal vivo tiene più che bene.
Mantenendo un impatto feroce, seguono 50 minuti di show appoggiato su un bancale di esplosivo al plastico che deflagra sin dalle prime note del terzo disco andando a esplodere con I Just Don’t Know, passando per Deiceiver fino a The Great Escape Of Leslie Magnafuzz. Impossibile dimenticare la sezione centrale della jam in omaggio a Jimi Hendrix il cui effetto psicotropo si avvicina a Third Stone From The Sun.
Risultato? Orgasmo multiplo su più livelli, Parker sa come far esaltare i presenti. Mentre succede tutto questo, Griggs rompe una corda, cambia la chitarra per il nuovo materiale. “Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, il problema non è la caduta ma l’atterraggio” diceva qualcuno nel film L’odio, poi qualcosa di colpo non va più, il meccanismo s’inceppa e il trio perde il tempo durante la terzultima canzone, Parker si gira infastidito. Non è un buon segno, conoscendo il suo carattere fumantino, in men che non si dica chiude un assolo al fulmicotone avvicinandosi al microfono per un laconico See you next time guys.
Nessuno ci crede ovviamente, anche perché hanno suonato meno di un’ora, le luci rimangono spente e dalle casse non esce la solita musica che decreta la fine del concerto. Il modo in cui Parker scende dal palco sembra legato a qualcosa che non c'è dato sapere sul momento, oppure doveva andare così previo accordo. Sta di fatto che quasi tutti i presenti se ne vanno con un po’ di amaro in bocca e insoddisfatti del minutaggio ma non della qualità dell’esibizione
Articolo del
17/10/2017 -
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