Aero-vederci, baby. Doveva essere un addio e invece pare di no, gli Aerosmith non scompariranno dalle nostre vite. In fondo loro ne hanno nove, di vite.
Che una rock band dopo 47 anni di carriera stia ancora in piedi è già di per sè un mezzo miracolo, specie per i trascorsi tossici del caso in questione. Che lo faccia richiamando ogni sera folle abnormi di spettatori, come nel caso dei 50.000 dell'Ippodromo del Visarno, è una cosa che sfugge perfino alle leggi della metafisica. Nel 2020 hanno già prenotato le commemorazioni per il cinquantennale e scommettiamo che pure allora s'inventeranno qualcosa per non togliere le tende.
Anche perchè se buttano lì una scaletta come quella di Firenze, come fai a non divertirti. Chi è che non ha mai canticchiato Rag Doll, Love In An Elevator o Dude. Chi è che non restava inebetito davanti ai video di Cryin' o Amazing, con quella bellezza della Silverstone come protagonista. Insomma, un pezzo di vita ce lo siamo fatto tutti con loro. Motivo per cui la serata fiorentina è stata una vera celebrazione.
Celebrazione mista a sorpresa quando vedi che sul palco il quasi settantenne Steven Tallarico, come ci ha tenuto a ricordare lui riguardo le sue origini calabresi, se la spassa come e più di Mick Jagger, facendocela di conseguenza spassare a noi. Di tutti i settantenni che conosco il più sano ha il Parkinson, mentre lui salta e schizza come un ossesso da una parte all'altra della scena come fossimo nel 1975. Un prodigio biologico, specie per il fisico ancora tiratissimo. Poi pensi a un Bono e ti cadono le braccia pensando che lui, con una quindicina d'anni di meno sul groppone, sembra lo zio imbolsito di Tyler. Anche se va detto che a quest'ultimo fatica a stare dietro perfino il sodale e compagno di dosi Joe Perry, l'altro toxic twin.
Ovviamente la setlist della notte gigliata ha attinto di più dalla seconda vita dei bostoniani. Quella iniziata nel 1986 col massaggio cardiaco praticato dai Run DMC a una band che sembrava ormai più di là che di qua. E invece dopo un paio di botte ecco che i polmoni ricominciarono a pompare. Seguirono dischi come Permanent Vacation, Pump, Get A Grip, dai quali è preso il più dello show attuale.
Uno spettacolo quasi perfetto, con una band che spacca ancora, nonostante tutto. Diciotto brani, incluse (purtroppo) quattro cover che hanno fatto gridare vendetta a tutte le perle che gli Aerosmith avrebbero nel loro sterminato repertorio. Però se i coverizzati si chiamano Beatles, Fleetwood Mac e James Brown un occhio si può chiudere.
Non sono mancate neanche Let The Music Do The Talking in apertura, Sweet Emotion, Dream On e la sempre meravigliosa I Don't Want To Miss A Thing, col pubblico a cantare a squarciagola.
Anche i bis hanno fatto ribollire il catino del Visarno, con la chiusura affidata a Walk This Way, naturalmente. Perché loro, dall'alto dell'Olimpo, possono permetterselo, di indicarci la strada.
Setlist:
Let The Music Do The Talking Young Lust Rag Doll Livin' On The Edge Love In An Elevator Janie's Got a Gun Nine Lives Stop Messin' Around (Fleetwood Mac cover) Oh Well (Fleetwood Mac cover) Sweet Emotion I Don't Want To Miss A Thing Come Together (Beatles cover) Chip Away The Stone Cryn' Dude (looks like a lady)
Encore Dream On Mother Popcorn (James Brown cover) Walk This Way
Articolo del
24/06/2017 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|