Gran bel concerto degli Afterhours mercoledì sera all'Atlantico Live a Roma. Dopo la manciata di date della scorsa estate col nuovo disco appena uscito e la scaletta da rodare, il Cub Tour 2017 partito da Trezzo lo scorso 9 marzo, fa tappa nella capitale, e tutti a chiedersi: se sarà un concerto come lo scorso luglio a Capannelle, ricco di 'Folfiri o Folfox', appunto l’ultimo album uscito nel 2016, se la formazione, modificatasi nel 2014, continui a tirare come ai vecchi tempi o abbia solo aumentato il volume e il rumore sul palco, e infine se Manuel Agnelli sia stato per qualche motivo corrotto e traviato dall’esperienza televisiva a X Factor.
Diciamo subito che, a distanza di tre anni, la nuova line up ha ormai metabolizzato le partenze dei “due Giorgi”, Prette, storico fondatore della band, e Ciccarelli (collaboratore come chitarrista dal 2002), e spinge come un treno. Moltissime, (praticamente tutte) le canzoni dell'ultimo album nella prima parte della scaletta, che lascia spiazzati i tanti che erano lì pregustando soprattutto le hit più famose. Ma come spesso nel loro stile, Manuel Agnelli e compagni spesso preferiscono deviare il corso prestabilito e atteso, e quando capiscono che il concerto rischia di diventare un'autocelebrazione, beh...decidono di prendersi anche qualche mugugno (e qualcuno tra il pubblico sulla pianistica e intima “L’odore della giacca di mio padre”, non ha nascosto la propria insofferenza: il prezzo da pagare quando si finisce con attirare anche la platea generalista televisiva) per provare a fare un concerto diverso, nuovo.
Si parte intorno alle 22, con Ne’ pane ne’ pesci, Qualche tipo di grandezza, e Oggi: 'Folfiri o Folfox' è un disco solido, impegnativo, a tratti anche pesante, che parla di perdita (e che perdita: quella del padre) ma anche di speranza e lotta personale, a volte intima. E se alcuni brani, più cupi (uno su tutti: l’enigmatica e oscura San Miguel), dal vivo fanno un po' di fatica a colpire nel segno, altri che tirano a mille, come Il mio popolo si fa o Ti cambia il sapore, o ballate come Se io fossi il giudice, o Non voglio ritrovare il tuo nome, sono già destinati a diventare dei classici degli Afterhours.
Ascoltando poi attentamente dal vivo il testo di Grande, si rimane attoniti di fronte a tanta sofferta e amara lucidità nell'innalzare a sogno la miseria della malattia, la morte, l'abbandono, i ricordi d'infanzia, il crescere, diventare grandi, appunto, e toccare con mano la fine di un genitore, della sua vita. L’autore sa di raccontare una sofferenza intima, privata: ne scaturisce un’esecuzione gridata, rauca, emozionante, quasi nuda nella sua schiettezza. Grande Manuel! La band rifà molto bene, e con grande fedeltà, praticamente tutto l'ultimo disco. Xabier è il solito sornione capace di rimanere impassibile prima di ogni delirio, di ogni galoppata, con la chitarra a mo' di moschetto, prima di lanciarsi in riff, soli, e intrecci con le altre corde sul palco. Manuel, che ultimamente canta bene come forse mai in passato per intensità, timbrica e maturità vocale, ci mette del suo sia alla telecaster che all’acustica nei momenti più d’atmosfera, con una chitarra che non è mai un semplice orpello ma strumento portante, spesso trascinatore e guida di molti brani, o al pianoforte in un paio di momenti più d’atmosfera, e gestendo con grande mestiere qualche piccola sbavatura vocale, quasi inevitabile, in due ore di concerto senza sosta. Colpito si, ma da ben altre esperienze personali, che non quelle televisive, scatenato e loquace il giusto come suo solito, il leader è l’animale da palco che conosciamo: prima, per un paio di brani, in giubbotto di pelle e jeans; poi, via il giacchetto, maglia azzurra (nera con la scritta Greg Dulli, nella seconda parte), capelli sciolti sulle spalle, in faccia, addosso, ma che non riescono a coprire il rock’n’roll dello sguardo.
Ringraziando la platea romana non perde occasione di ricordare il grande lavoro di tanti centri sociali e autogestiti della capitale, in particolare il collettivo Angelo Mai, che lui e gli After sostengono da anni, e presso il quale saranno anche stasera, venerdì 24. La band, come dicevamo, spacca: violino (il grandissimo Rodrigo d’Erasmo) e chitarre, cercano e trovano equilibri volutamente precari tra distorsioni e reverberi; l'acustica dell'Atlantico, a sorpresa, rende meglio che in altri casi (e molto meglio di altre location romane), e la coppia Rondanini/Dell'Era, batteria e basso, funziona alla grande nel repertorio di 'Folfiri o Folfox', duro e dinamico al contempo. Un tentativo di Manuel Agnelli di raccontare cosa significhi per lui, e per la band, portare in giro quest’ultimo disco con tutto il suo carico di sensazioni forti, ma anche di soluzioni musicali, fallisce con il leader della band interrotto dai continui richiami, insensati, di alcuni spettatori esagitati ed eccitati tra le prime file (ma non solo): “tutto questo è bellissimo”, esclama Manuel contrariato “gente che parla, tutti contemporaneamente, non si capisce nulla, può essere un esperimento di comunicazione..”. Crediamo si tratti, ahimè, sempre dell’effetto X factor.
Per i fan di vecchia data, soprattutto nella seconda parte di concerto, non mancano anche tanti pezzi da 90, classiconi o quasi: da Male di Miele (“ragazzi, due schiaffoni?” ancora Manuel, introducendola) a La sottile linea bianca, Musa di nessuno, Le verità che ricordavo, fino ad arrivare a Bye Bye Bombay, come sempre strepitosa, nel suo semplice, categorico, irrinunciabile incedere: IO. NON. TREMO. Riandando su e giù per la scaletta, da segnalare un paio di piccole gemme da 'Padania': la title track e Costruire per distruggere (sempre molto bella, con finale emozionante) e la tiratissima Ballata per la mia piccola iena, sistemata a inizio concerto per accendere ancora più, se mai possibile, la tensione palpabile dell’ultimo lavoro (e anche per spezzare con qualche brano storico, l’esecuzione di 'Folfiri o Folfox'). Nel finale, la cover di State Trooper di Springsteen, con sul palco anche il giovane Andrea Biagioni (che ha anche aperto il concerto con alcuni pezzi, chitarra e voce, niente male) e, a chiudere la terza tornata di bis e quindi il concerto, Quello che non c'è, poderosa come sempre, con tutto l'Atlantico ormai in subbuglio. Quindi tutti a casa, con la sensazione di aver visto i numeri uno in Italia, la nostra migliore rock band, e non da oggi o dall'altro ieri. Venticinque anni di grande rock: Afterhours, signore e signori!
Articolo del
24/03/2017 -
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