Impossibile non rimanere incantati dalle soluzioni musicali proposte dai Lambchop, da Nashville, Tennessee, il più “antiamericano” dei gruppi U.S.A. oggi in circolazione e non mi riferisco tanto a dinamiche politiche o a presupposti ideologici quanto all’approccio artistico scelto dalla band. Non una nota fuori posto, nessun proclama, nessuna esagerazione, niente strilli e nessuna concessione allo spettacolo per uno show pacato, intimo, affabile neanche ci trovassimo in una serata fra amici. Il clima è tale che anche quando Kurt Wagner, il leader del gruppo, si lancia in un soffuso “What the fuck am I supposed to do?”, frase che potrebbe sembrare fuori posto o perlomeno azzardata, l’epiteto viene assorbito con naturalezza all’interno del loro repertorio di canzoni, che continuano a parlare d’amore, nonostante tutto.
Sul palco, accanto a Wagner troviamo Tony Crow, al pianoforte, Matt Swanson, al basso e Andy Stack, il nuovo batterista. La band presenta dal vivo brani come Directions To The Can, Old Masters, In Care Of, Harbour Country, N.I.V. e Writer, composizioni tratte da 'Flotus' (acronimo di “For Love Often Turns Us Still”), il loro ultimo album per la City Slang. Se nel disco appaiono quanto mai evidenti i richiami ad un elettronica minimale, dal vivo le nuove canzoni si innestano a perfezione con i brani del loro recente passato e vanno a formare un unicum che fluisce all’insegna di uno stupore onirico, che raccoglie sia le storie drammatiche che le diverse sfaccettature musicali della proposta dei Lambchop.
Unica novità un “voice box” posto sotto il microfono di Wagner, un “device” che modifica le tonalità della voce di Kurt nelle diverse esecuzioni. Ma si rimane dentro un alternative country arricchito però da ingredienti sempre diversi, da sonorità che riflettono incursioni nella musica jazz, nel soul, nell’elettronica e nel pop melodico. Alcuni brani possono sembrare dimessi, forse anche fragili, ma si tratta soltanto di una scelta stilistica, perché in realtà tutte le canzoni che ascoltiamo dal vivo questa sera nascono da una musicalità solida e compiuta che prende le mosse dal piano di Tony Crow che dialoga sempre con la chitarra acustica e con la voce di Kurt Wagner.
Sembra impossibile che alla fine dello show i Lambchop suonino When You Were Mine, un pezzo di Prince del 1980. Una cover che è un tributo al grande artista di Minneapolis tragicamente scomparso appena l’anno scorso. Appaiono molte - a prima vista - le cose che separano Prince dai Lambchop, eppure non è così: c’è una legacy che si chiama Rhythm & Blues, una radice comune che azzera le distanze, che unisce le due proposte musicali, una sorta di miracolo che si rinnova ogni volta che i Lambchop attaccano una nuova canzone.
SETLIST:
NIV The Hustle Directions To The Can Poor Bastard Old Masters Writer In Care Of Cobweb Summer JFK Relatives Daily Growl Harbor Country
Encore When You Were Mine (Prince cover)
Articolo del
07/03/2017 -
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