A marzo sempre su queste pagine ho raccontato il disco di esordio come solista di Francesco Motta. Rileggendolo a distanza di mesi non cambierei una virgola di quello che ho scritto. L’unica cosa che è cambiata è la percezione del disco dopo mesi di ascolto e riascolto. Sentirlo live è stato come essere folgorati sulla via di Damasco.
Arrivando al Monk, il semplice fatto di aver dovuto lasciare la macchina a distanza siderale, mi conferma le dimensioni del sold out (ho visto gente alla biglietteria implorare per un biglietto sperando in qualche defezione). Guadagniamo il nostro posto sotto il palco e ci prepariamo ad assistere, con un occhio sempre verso la folla dietro la transenna che aumenta sempre più, e presto inizia a far sentire la propria impazienza (sono quasi le 23 e ancora si vedono tecnici trafficare sopra e sotto palco). Sul palco, sul fondo la batteria con i fusti trasparenti da un lato e le tastiere subito a fianco sembrano formare un unico nucleo; sul fronte a destra una rastrelliera con diverse chitarre (almeno 6?), e a sinistra il microfono per Motta e di lato un secondo microfono sempre per lui davanti a due rullanti. Qua e là sono posizionate delle lampade a parabola, a diverse altezze da terra.
Il live inizia, e sulle prime note di Se continuiamo a correre Motta prende posto davanti al microfono. La scaletta prevede tutta la tracklist del disco, in ordine sparso, più un tributo ai Criminal Jokers. Da subito penso che non ne usciranno buone foto se questo è il ritmo, incessante, crescente, che subito ti rapisce e ti fa saltare a tempo. Ma è con l’arpeggio che apre Del tempo che passa la felicità che ci rendiamo conto che sarà un concerto potente. Tanto potente che alla fine del primo capoverso salta una delle casse e la musica si interrompe con un gesto di stizza di Motta che vuole scaraventare la chitarra a terra e lascia il palco seguito dalla band (in effetti, era la seconda interruzione sulla stessa canzone, più o meno allo stesso punto, ma la prima volta era sembrata una sciocchezza e si era risolta dopo poco, invece….). La cosa si rivela più complicata del previsto, i tecnici si affannano sopra e sotto palco ad aggiustare le cose, cambiando ciabatte e controllando i connettori. Ci vorrà un po’ di tempo prima di ricominciare, e tutti ci chiediamo quanto possa influire su una performance un’interruzione così drastica e lunga, praticamente all’inizio del concerto.
Ma le preoccupazioni svaniscono quando Motta e la band riprendono possesso del palco e degli strumenti, e con una grinta insperata ma prevedibile attaccano nuovamente da capo, cioè dal primo brano in scaletta. L’arpeggio di Se continuiamo a correre si fa ancora più tagliente, Motta incita il pubblico a braccia alzate, sfoga la rabbia e si tuffa in mezzo al pubblico… Già. Un vero e proprio tuffo al di là della transenna. Improvvisamente, come una liberazione. Una luce, forse una torcia, lo segue mentre viene prima sorretto dalle braccia del pubblico per poi “scendere” a cantare in mezzo alla gente. Ci mette un po’ a recuperare stabilità e a riguadagnare la transenna per tornare sul palco. E se questa è la prima canzone, abbiamo già capito che il live ha preso la giusta china. Infatti da li in poi è stato un susseguirsi di emozioni e botte di punk. Il trittico iniziale è una bomba a orologeria che culmina con il ritornello infinito di Prima o poi ci passerà. Motta parla poco, si esprime di più con il volto, e con il corpo, con i suoi gesti di incitamento soprattutto con i suoi musicisti, come se volesse trasferire a loro un po’ della sua energia. Dice solo qualche parola su alcuni brani, come presentare Mio padre era un comunista e dedicarla a tutti quei genitori che insegnano ai propri figli a prendere posizione, oppure quando racconta di quando, verso la fine della registrazione del disco, si confida con Riccardo (Sinigallia) dicendo che aveva scritto una canzone “un po’ così” (Sei bella davvero) ma che non era sicuro che fosse fatta bene, e invece risulta la canzone più bella “e stasera l’ho capito”, dichiarando il suo affetto dicendo che “a lui ci ho messo 10 secondi per sceglierlo”. C’è tempo anche per un tributo alla band con la quale ha militato per dieci anni, i Criminal Jokers, e aggiunge che “se non le faccio io ‘ste canzoni non le fa nessuno”. Poi invita sul palco Andrea Ruggero e insieme a lui parte La fine dei vent’anni. Arriva ai saluti e ai ringraziamenti, in particolare ringrazia di essere stato adottato da Roma (lui pisano, ormai da cinque anni vive a Roma). La scaletta si chiuderebbe con Cambio la faccia, altro tributo ai Jokers, ma noi sappiamo che mancano tre brani all’appello, e dopo il rituale dell’uscita dal palco e il richiamo del pubblico, si chiude con Roma stasera, Abbiamo vinto un’altra guerra e Prenditi quello che vuoi, non senza un altro bagno nella folla (sì, anche nel finale è sceso dal palco ed ha cantato metà canzone in mezzo al pubblico).
Un concerto iniziato tardissimo e con un problema tecnico non indifferente che avrebbe potuto compromettere la performance di chiunque, invece si è rivelato una bomba grazie alla grinta di Motta che non si è risparmiato per nulla, anche fisicamente, sul palco, pestando sui rullanti, o in mezzo al pubblico cantando e saltando con loro. Un pubblico, fra l’altro, abbastanza variegato: prevalenza di giovanissimi ovviamente, ma molti cosiddetti “adulti”, segno che il suo non è un percorso di nicchia, con un target selezionato. Del resto, con testi così complessi sposati ad arrangiamenti rock (che sfiorano davvero il punk!), e fresco vincitore (con enorme vantaggio) della Targa Tenco 2016 per la categoria “opera prima”, è riuscito a raggiungere le teste e il cuore di molti. Tanto che alla fine del concerto, nel lento scivolare fuori dalla sala gremita, la domanda è stata: quand’è che torna a suonare? Perché ti entra dentro e non ne esci neanche dopo tanti giorni, e altri concerti, e altre cose. Nel lettore a casa, in auto, c’è sempre ancora lo stesso disco: quello di Motta.
SETLIST::
1. Se continuiamo a correre 2. Del tempo che passa la felicità 3. Prima o poi ci passerà 4. Mio padre era comunista 5. Una maternità 6. Sei bella davvero 7. Fango (cover Criminal Jokers) 8. La fine dei vent’anni 9. Cambio la faccia (cover Criminal Jokers)
Encore: 10. Roma stasera 11. Abbiamo vinto un’altra guerra 12. Prenditi quello che vuoi
(La foto di Francesco Motta al Monk di Roma è di MG Umbro)
Articolo del
10/12/2016 -
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