Un’esperienza unica, un evento da non mancare per i tanti appassionati di musica elettronica e per i seguaci della musica Ambient che nel corso degli anni ha attraversato numerosi sviluppi e ha conosciuto tante ramificazioni. Sullo sfondo la rivisitazione di immagini di volti umani tratte da 'Solaris', il noto film di fantascienza di Andrej Tarkovskij del 1972, basato sul romanzo di Stanislaw Lem; sul palco invece Ben Frost, chitarra elettronica e laptop, Daniel Bjarnason, al piano preparato ma anche nelle vesti di direttore d’orchestra, quella del Conservatorio di Santa Cecilia nell’occasione. L’apparato video è opera di Brian Eno che - in collaborazione con Nick Robertson - ha rielaborato, modificato e talvolta distorto sembianze umane sofferte, in cerca di identità, in modo tale che potessero costituire uno spunto ideale alle evoluzioni metafisiche - a metà strada fra lo sperimentalismo e l’avanguardia neo classica - di Ben Frost, musicista e compositore australiano che da anni vive in Islanda. L’idea musicale di 'Solaris' prende forma proprio a Reykjavik, dove abitano e lavorano sia Frost che Bjarnason. L’opera è stata realizzata nel corso di registrazioni che si sono svolte nell’arco di due anni ed è stata poi pubblicata su disco già nel 2011. Da allora in poi questo piccolo capolavoro di musica classica moderna, di musica polifonica - con ingredienti di sperimentazione che prendono le mosse dall’opera di John Cage - è in tour in diversi paesi.
L’orchestra del Conservatorio di Santa Cecilia è completamente a disposizione di questi due giovani compositori/sperimentatori e ne asseconda le sollecitazioni musicali a cominciare dalla bellissima We Don’t Need Other Words, We Need Mirrors che apre il concerto. Il viaggio dello psicologo Kris Kelvin, protagonista di Solaris, va ben oltre i confini dell’avventura fantascientifica narrata sia nel romanzo che nel film e diventa occasione per indagare i contrasti della psiche umana e metterli in musica. L’esibizione è breve, la performance non supera i sessanta minuti, ma cattura da subito gli spettatori grazie a passaggi musicali davvero intensi come Snow, Unbreakable Silence e Venia. Il piano preparato di Daniel Bjarnason detta i motivi armonici principali della lunga suite di 'Solaris' sulla quale intervengono a turno la sezione di archi dell’orchestra di Santa Cecilia e le sferragliate chitarristiche di Ben Frost. A volte si ha l’impressione che agli orchestrali venga affidato il compito di tramettere musicalmente il lato delle percezioni umane di cui narra il testo originale (solitudine, senso di estraniamento e di perdita) mentre a Frost e Bjarnason tocchi il compito di sovrintendere alle sonorità più misteriose, meno conosciute, provenienti dallo Spazio celeste. In molti sono rimasti sorpresi a vedere Ben Fost un po’ in disparte, intento a centellinare i suoni della sua chitarra elettrica e a manovrare un computer. Forse si aspettavano l’approccio noise di Aurora e di To The Throat, ma questo succede solo in una occasione, per pochi minuti.
Vale la pena ricordare allora che 'Solaris' non è un lavoro recente, è un disco di cinque anni fa, al quale Ben Frost si è dedicato con un mood molto diverso, più vicino ad una sorta di minimalismo contemplativo che alle sonorità industriali, noise, fortemente iconoclaste degli ultimi tre anni. Su 'Solaris' prevale invece una musicalità più austera, che lascia spazio anche al silenzio all’interno di una struttura sinfonica, frutto di certo della collaborazione con Bjarnason, che è stato in passato produttore dei Sigur Ros. Musica cerebrale, ma di grande spessore, che parte dai primi loop elettronici della “Heavenly Music Corporation" di Brian Eno e Robert Fripp nel 1973 per guardare ad una linea di orizzonte ancora più lontana.
(La foto di 'Solaris' all'Auditorium di Roma è di Viviana Di Leo)
Articolo del
21/11/2016 -
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