Lei è una musa dark irresistibile; loro gli alfieri del gothic-rock d'avanguardia. Lei canta di funerali e letti di morte; loro nella morte ci sguazzano. Lei si ispira a loro; loro hanno un debole (artistico) per lei.
Tra Anna Von Hausswolff e gli Swans le affinità elettive sono evidenti. Logico quindi che prima o poi li avremmo visti sullo stesso palco, con lei ad aprire per loro (e ci mancherebbe).
Poi ci sono le differenze. Tipo che lei ha appena compiuto trent'anni, e loro da trent'anni (e rotti) sono sulla scena; lei ha pubblicato tre album, e per loro tre album sono solo quelli usciti dopo la reunion del 2010; lei smanetta sui synth, e loro sono tutti chitarre e pedaliere.
Questo però non ha impedito a due mondi così distanti di entrare nella stessa orbita e permettere a noi di ammirarne il passaggio nella serata romana dell'Orion.
La cantante e polistrumentista svedese che da un anno sta portando in giro la sua ultima fatica in studio, 'The Miraculous', sale sul palco alle otto e mezza e snocciola 35 minuti di rumorosissimo repertorio tra ambient, drone e post-rock impastati di atmosfere evocative alla Clannad e Kate Bush. Una miscela devastante che penetra nel tessuto connettivo e altera la percezione.
L'impianto strumentale però è leggermente ridotto rispetto al tour che ha condotto in solitaria e che l'ha vista esibirsi nella Capitale già lo scorso marzo: non c'è l'organo a canne che normalmente la sovrasta sul palco e al suo fianco ci sono solo un chitarrista e un percussionista, peraltro entrambi smanettoni come lei e dai compiti vari. Infatti suonano come se di elementi ce ne fossero dieci, sulla scena.
L'impatto è fulminante e prepara il campo all'apocalisse degli Swans, che arrivano subito dopo il set della loro protetta.
Facce da galeotti, abiti sdruciti, capelli untissimi. Il sudiciume noise dei newyorkesi guidati da Michael Gira emana i suoi lezzi fin dall'apertura affidata a The Knot - il nodo - sciolto il quale seguono altre cinque pièce per la durata complessiva di due ore e mezza di industrial spettrale, violento e a prova di tappi per le orecchie. 'The Glowing Man', il nuovo album uscito a giugno e nato durante il tour a supporto del precedente 'To Be Kind', è rappresentato dalle due "cloud" presenti sul disco, ...Of Forgetting e ...Of Unknowing, e dalla title-track. Ma sono nuvole pesanti, cariche di pioggia metallica che ci sommerge sotto una coltre infernale.
La loro forza non sta tanto nella scrittura, dato che tenere una nota per un quarto d'ora non richiede chissà quali abilità compositive, quanto nell'assemblaggio, nella preparazione, nelle attese che preludono a sferraglianti ed epiche esplosioni di follia, quelle sì difficili da rendere al meglio se prima non si ara bene il terreno della futura battaglia.
Gira... non si gira, nel senso che mentre suona se ne sta perlopiù rivolto verso i suoi compagni, ad eccezione dei momenti in cui deve cantare. Ma non è snobismo quanto piuttosto necessità di coordinarsi per bene, a vista, perché le cose vanno fatte a puntino. E infatti lo si vede più di una volta cazziare i suoi compagni quando non fanno quello che dice lui o non lo fanno come vorrebbe. Una sorta di direttore d'orchestra, solo più minaccioso, che quando è soddisfatto della resa lo capisci perché chiude gli occhi come rapito da un'estasi e con le braccia mima il volo del cigno (cos'altro sennò). Altrimenti sono cavoli. Ma da parte nostra i rimproveri stasera non servono perché la recita di gruppo è stata perfetta.
Articolo del
08/11/2016 -
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