Tornano sul luogo del delitto, i Fatso Jetson che sembrano innamorati dell’Italia e considerando il nome del chitarrista non potrebbe essere diversamente. Andando per ordine, è un mercoledì anomalo a causa delle tre violente scosse di terremoto, dalle 19.00 alle 22.00, che hanno colpito le Marche ma sono state avvertite fino nella Capitale mettendo in allerta le autorità e terrorizzando la popolazione romana, riversa per le strade in attesa di sapere come andrà a finire questo sciame che ha interessato il centro della penisola. A complicare le cose ci si mette una pioggia fitta e insistente che inizia intorno alle 21.30 demotivando anche chi magari al concerto, terremoto o no, ci sarebbe venuto. Insomma gli eventi fanno registrare pochissime anime al Traffic.
In concomitanza con l’ora d’inizio degli Orator Fit la situazione è immutata. È davvero un peccato, la cosa non migliora per la prima parte dello show degli Zaibatsu che sul palco arrivano belli carichi sputando una serie di frustate davvero buone nella loro spinta progressiva e mai progressive. La sezione ritmica macina pattern sfoderando cambi di tempo prodotti dal dinamico drummer che spinge a dovere permettendo al chitarrista divagazioni psichedeliche e violenti accessi d’ira, irrobustiti dall’altrettanto poderoso basso. Eseguono con ferocia cieca Oppenheimer's Sister, Chemtrails, Mantra 3p, Gnomes e Technocracy. L’incipit del brano finale assomiglia, in modo spaventoso, a una delle ultime produzioni dei King Crimson (Level Five, in realtà è un estratto di Starless, eseguito con cura e dovizia. Fanno mezzora intensa e potente passando il turno senza riserve.
Quando è il momento di Lalli e soci le cose mutano velocemente, 2 minuti per accordare la Telecaster e due colpi su tom e cassa per assicurarsi che sia tutto ok e si inizia puntuali come l’hangover dopo una sbronza alle 22.45 permettendo a tutti di tornare a casa a un orario umano. Saranno state le richieste degli astanti su FB, stanchi di aspettare l’inizio sempre più tardo di questi concerti nella capitale o la paura per ulteriori scosse, sta di fatto che Lalli suona di fronte a uno sparuto numero di persone entrando a gamba tesa con una take desertica (Magma) con distorsione pesante e sezione ritmica plumbea giusto per mettere le cose in chiaro dall’inizio. Royal Family, improntata sulla struttura ritmica di Foxy Lady, scatena un’energia tellurica (oops) capace di far tremare lo stomaco degli astanti mentre Sero(tonina)quel infonde una sorta di pace legata a quel sustain della chitarra di Mario capace di intarsiare un bell’assolo ricamato a dovere.
Certo è che, nonostante a Roma ci sia un concerto così intenso e importante, fa strano ritrovarsi insieme alle solite facce note per un totale di 20 persone. Vene quasi voglia di andare a scusarsi con il trio per la mancata risposta, la rabbia sale ancora considerando la qualità dell’esecuzione e l’energia che i nostri ci mettono. 48 Hours demolisce la venue romana a colpi di stacchi e mazzate del drummer a cui si sommano le bordate soniche del bassista cosa che si ripete nella successiva Dream Homes.
I Fatso Jetson se ne fregano altamente dei numeri mostrando un rispetto per i presenti che spesso solo le band americane vantano. La loro unica pecca è nella durata del live, che si avvicina a un’ora spaccata, sebbene manchino ancora 15 minuti alla mezzanotte e nonostante le suppliche dei ragazzi non ancora paghi di quel sound ruspante, i tre decretano la fine dello show con un “Sorry but it’s all guys, next time”.
Articolo del
27/10/2016 -
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