Serata piena all’Init, è un giovedì piovigginoso, verso le 21.30 i cancelli sono ancora chiusi. Si prevede l’ennesimo tour de force nella venue romana.
Le band in cartellone sono tre, apre le danze la Sindrome di Keller, ottimi dal vivo, precisi e affiatati si sparano mezz’ora alternando momenti delicati a passaggi più muscolari rischiando di essere la band più cool dell’intera serata. Gli Pseudosurfers invece soffrono, si vede nelle facce tese e nei movimenti nervosi, di parecchi problemi tecnici che non solo inficiano il risultato dello spettacolo ma fiaccano anche la loro voglia di metterci più impegno. È tutto un continuo gesticolare in direzione del fonico che stasera pare stia andando a farfalle, sarà la primavera. È una serata no, purtroppo capita anche questo e molto più spesso di quanto si possa credere. I quattro provano a chiudere con un pezzo ma più che musicisti rapiti dalla furia sonica sembrano condannati a morte, già in strada verso il patibolo. Scendono dal palco alquanto s(in)cazzati, allargando le braccia e senza fanno nulla per nascondere il malcontento. Onestamente è spiacevole continuare a trovarsi in queste situazioni, diventa imbarazzante anche sostenere il contatto visivo con le band che cercano conforto nei presenti.
Verso le 0.10, e finalmente aggiungiamo, gli Ulan Bator sono sul palco. L’apertura è ostica con chitarre slabbrate, in puro mood noise, e il sax infilato fra i riff creano una bolgia caotica che si dipana con il passare dei minuti. Gli Ulan Bator danzano assieme al noise-ambient con siringhe di melodia innestata fra i feedback del loro rumore strutturale.
Sono passati una decina d’anni dall’ultima volta che li avevamo visti su un palco, sono cambiati molto e in bene. Oggi appaiono rodati e sicuri, eseguono il nuovo album ma ahimè (ci risiamo!) l’acustica, per buona parte del concerto, non riesce a rendergli grazia. Le casse sputano fuori un’accozzaglia di suoni indistinti che penalizzano pesantemente le pelli e voce. Il fonico, rapito da una sorta di ballo di San Vito, si sposta nervosamente per tutta la sala cercando di equilibrare i suoni con esito accettabile solo nell’ultimo segmento dello show. Verso l’una passata, ormai in dirittura d’arrivo, la band fa un breve saluto seguito dall’immancabile ritorno on stage per un ultimo pezzo, sigillo di Abracadabra, molto oscuro e noise che va a chiudere la loro esibizione.
Le conclusioni non sono così nitide e precise, non pendono da nessun lato della bilancia. I problemi tecnici hanno esercitato un peso negativo importante che impedisce di assegnare meriti e puntare il dito contro le singole responsabilità. Non sappiamo come sarebbe andata in condizioni più favorevoli, la mancanza di un equilibrio stabile travalica la capacità di esprimere un giudizio definitivo. Rimandiamo il tutto al prossimo punto di contatto.
Articolo del
18/03/2016 -
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