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Tony Allen Quartet
Tony Allen Quartet in "Art Blakey Tribute" live @ Monk - Roma, 15 marzo 2016
Roma
15/03/2016
di
Giuseppe Celano
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Dopo la deflagrazione del Circolo degli Artisti, il Teatro Quirinetta e il Monk si contendono i satelliti rimasti orfani in una guerra serrata di eventi spalmati nella Capitale. A differenza del Quirinetta, più faticoso da raggiungere e drammatico per il parcheggio, il Monk sembra anche più adatto per questo tipo di concerti. Nel complesso è una buona venue che vanta anche un’acustica efficace (a Roma non è poi così scontato).
Stasera la location prevede la presenza imponente di un batterista che non ha di certo bisogno di presentazioni. Tony Allen è supportato da tre musicisti; lo avevamo visto anni fa a Casa del Jazz, sempre magro e ancora snello nonostante i suoi 76 anni. Il drummer di Fela Kuti, che gli produsse anche i suoi tre album solisti, è ricordato anche per il recente supergruppo The Good, The Bad & The Queen, formato assieme a Damon Albarn e Paul Simonon. Stasera è a Roma per presentare il suo personale omaggio a Art Blakey & Jazz Messengers con un concerto interamente impiantato sul catalogo di Art. Il locale si riempie velocemente, verso le 22.30 il nostro eroe ritmico è già sul palco con cappello e occhiali da sole, camicia e gilet. Alla sua destra l’algido tastierista, nell’altro lato sostano Mathias Allamane e il funambolico sassofonista. La prima ora vola via in un lampo con due ottime aperture e un blues incalzante sostenuto dall’hammering di Jean Philippe Dary opposto al contrabbasso di Mathias Allamane in cui s’infila l’intrigante sax di Jowee Omicil. È un piacere per orecchie e occhi, attraverso i cenni imposti per lo più da Tony che con la bacchetta indica volta per volta chi e quando deve entrare in assolo i quattro si scambiano sguardi complici, sorrisi e una fluidità che lasciano di stucco. I suoi pochi solo sono snelli e senza fretta. Qui si gioca sul colore infarcito di qualche controtempo. Tony non ha bisogno di dimostrare nulla, dopo il terzo brano si presenta insieme alla band con un’umiltà disarmante dichiarandosi pronto ad accettare tutte le potenziali critiche che gli potremmo muovere e ringraziandoci milioni di volte per esserci presentati al suo cospetto.
Irresistibile il blues Moanin’ con andamento dritto dentro cui il sax di Jowee si muove come un galletto in un pollaio. Jowee invita più volte i presenti a battere le mani per tenere il tempo nell’immancabile A Night In Tunisia, nevrotica e veloce attraverso l’incendiario fraseggio di Omicil. L’adrenalinica sezione ritmica accenta tutto di contrappunto mentre scrosciano gli applausi. A metà show una mezza standing ovation lascia intendere che la serata, partita nel migliore dei modi, si concluderà con il trionfo di questa piovra ritmica.
Sul finale sono tutti fronte palco per i ringraziamenti e il finto addio che dovrebbe sancire la fine del concerto. Ma tutti sanno che non è davvero finita, ci sarà spazio per un’ultima take, sigillo finale di un incontro il cui risultato era più che scontato ancora prima di mettere piede nel locale.
Articolo del
17/03/2016 -
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