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Anna von Hausswolff
Anna von Hausswolff live @ Monk – Roma, 9 marzo 2016
Roma
09/03/2016
di
Valerio Di Marco
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Se i Godspeed You! Black Emperor un giorno decidessero di “darsi” una voce potrebbero tranquillamente rivolgersi a questa straordinaria cantante e compositrice svedese che con “The Miraculous”, il suo quarto lavoro pubblicato a novembre, il miracolo l'ha fatto per davvero. E ieri sera si è ripetuta davanti agli sguardi attoniti di noi convenuti al Monk, dove le pareti stavolta hanno tremato di brutto sotto i colpi della sua ugola paurosa. Ventinove anni e una potenza mai vista. Quasi ti chiedi come faccia una voce del genere ad uscire da quel corpo così mingherlino. Una voce che ogni volta che si alza pensi, anzi speri, non possa crescere, andare oltre. E invece madre natura puntualmente ti stupisce. La band (chitarra-synth-batteria-basso) arriva sul palco poco dopo le ventidue e trenta. Lei subito dopo, ma prima che le sue corde vocali inizino a spaccare il buio bisogna attendere una buona quindicina di minuti di intro strumentale. Poi è lei a prendersi il centro della scena pur restandosene seduta all'organo per tutto il concerto ad eccezione di un brano, “Stranger”, peraltro l'unico vagamente melodico, che canta in piedi nel parterre guardando dritti in faccia gli spettatori delle primissime file. Quando suona muove la testa a scatti seguendo il ritmo dei brani, e i capelli le si agitano sul viso nascondendoglielo del tutto. La voce invece no, quella esce lo stesso come un flusso incessante che dà forma ad atmosfere dark sospese tra Dead Can Dance, Cocteau Twins, Clannad e l'universo post-rock di Mogwai, Explosions In The Sky e i succitati canadesi. Il tutto declinato all'oggi e al repertorio della Nostra, che in questa serata romana scandaglia in gran parte il materiale degli ultimi due album, “Ceremony” (2013) e appunto “The Miraculous”. Alla fine saranno undici i brani in scaletta, più un bis a chiudere un'ora e venti di concerto iniziato e finito coi botti. Brani che però sarebbe più giusto chiamare piècè, o atti, perché tutto sembrano meno che canzoni - a partire dalla durata che in alcuni casi supera anche i dieci minuti - e spesso non sai dove finisce l'uno e inizia l'altro. Lei potremmo definirla una Chelsea Wolfe meno dozzinale e più disturbata. Però quando scende dal palco a fine concerto per incontrare i fan al banchetto dei vinili il viso le s'illumina d'immenso. E anche noi, che dopo averla vista brilleremo per un bel pò di luce riflessa. La sua.
Articolo del
11/03/2016 -
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