Ultime giornate di agosto, botti finali di un’estate ricca di eventi, ovviamente tutti singoli, guai a raggruppare più di un artista di cartello in un solo festival, non sia mai. Tant’è che stasera si propone una delle più fastidiose questioni per gli amanti di musica e fruitori di concerti, la concomitanza. Già, perché da un’altra parte della città ci sono anche i Gogol Bordello, che con i Tame Impala non c’entrano molto, è vero, non è un dilemma esistenziale come quello tra Paul Weller e Noel Gallagher di metà luglio, ma qualcuno costretto alla scelta ci sarà sicuramente stato e questa cosa fa sempre bene farla notare. Pensato e detto ciò, qualsiasi tensione o intemperanza molla la presa sulla nostra psiche appena varcato il cancello dell’ippodromo delle Capannelle. Dopo aver dribblato i pochi venditori abusivi di birra e superato il parcheggio semi-deserto, spinti da una piacevole brezza, si avverte il presagio di un concerto per pochi e forse anche buoni. Intanto Nicholas Allbrock (attuale frontman dei Pond, side project di altri componenti dei Tame Impala) è da poco salito sul palco e intrattiene il pubblico non foltissimo, ma ben distribuito, con un set intrigante, che si poggia molto su loop-station e riverberi, peccato che lo stare da solo su un palco gigante non lo aiuti, ma proposto in una location più intima sono quasi certo che possa fare la sua “porca” figura. Quando il buon Allbrock, che ha anch’egli militato nei Tame Impala fino al 2013, termina la sua performance tutti capiamo che forse portare la band di Perth qui a fine agosto è stato un po’ un azzardo… ad occhio e croce non sono sicuro che si arrivi a due-tremila persone complessivamente, a meno che l’enorme parterre di Capannelle non mi inganni. Poco male perché il clima (in tutti i sensi) è ottimo, fa fresco e si sta larghi, si esce e si rientra comodamente anche tra le prime file ed in diversi gruppi di amici (specialmente tra le ragazze) ci si è lasciati andare a qualche accenno di mascherata in stile “flower power”. Un po’ come gli stessi Tame Impala, che riescono, con l’ausilio di visual ipnotici e outfit hippie, a spacciare dream-pop influenzato da Beatles prima e Bee-Gees ora, per psichedelia. Lanciatisi cinque anni fa come gli alfieri della psichedelia moderna, ai tempi degli esordi con “Innerspeaker”, convinsero il pubblico di genere e la scena alternativa, salvo poi iniziare a correggere il tiro per provare a conquistare la fascia rock-mainstream con l’avvento di “Lonerism” (2012), sotto il vigile occhio della cellula australiana della loro major.
Spinti da brani catchy con sprazzi di sonorità 60s come la celebre Elephant (molto apprezzata stasera ed arricchita da inediti ed ottimi interludi strumentali) il successo ed i riconoscimenti non tardano ad arrivare, per quanto poi anche il concerto di Roma (il primo per loro) abbia dimostrato che la band pecchi parecchio di presenza scenica. Non basta il solo Kevin Parker (leader assoluto della compagine australiana) che prova a imbastire qualche timida chiacchiera ed assumere pose mistiche con la chitarra puntata verso il cielo. Ad ogni modo l’atmosfera di gioia, divertimento e relax pervadono in pochissimo tempo tutti i presenti ed il fatto che il chiacchieratissimo ultimo disco, “Currents” (2015), non abbia nulla o quasi a che fare con i primi due, o che si sia persa anche quella parvenza di vena psych dei primordi, non interessa a nessuno.
La scaletta del resto è ben amalgamata, mischiando molto di “Lonerism”, abbastanza di “Currents” (molto apprezzati i singoli) e quel che resta di “Innerspeaker”, con qualche chicca eseguita solitamente soltanto dal vivo, tipo Sestri Levante. I brani più recenti hanno un tiro decisamente più debole, ma non c’è traccia di nasi che si storcono, nonostante l’avvento di “Currents” abbia scatenato non poche chiacchiere e battibecchi tra fan, critici ed addetti ai lavori, come sempre avviene per le band che diventano “grandi”. L’atmosfera è intrisa di mood positivo, moto ondulatorio e frequenze sonore lisergiche, nulla a che vedere con i principali esponenti del genere psichedelico (gente tipo Brian Jonestown Massacre o The Black Angels), ma l’analisi e gli auspici migliori che ci si possa fare in sede di critica stasera sono che band come i Tame Impala (ma anche i Temples, per dirne altri) possano fungere da “stargate” per tentare di far affluire nuovi aficionados alla florida scena psych underground attuale, che prolifica a livello creativo, ma che in Italia ancora non fa grandi numeri… purtroppo.
Twitter: @MrNickMatt
Articolo del
29/08/2015 -
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