A febbraio dello scorso anno, cioè l’ultima volta che ho raccontato un suo live, vi avevo lasciati dicendo “…di certo non finisce qui” e, facile da prevedere, così è stato. Peter Hook è tornato in tour questa volta con il best of dei due gruppi di cui è stato co-fondatore e bassista, ovvero Joy Division e New Order con Roma unica data italiana.
Si può ben dire che Hooky ama portare la sua musica in giro (è in tour mondiale da diversi anni ormai) e sicuramente ama l’Italia, come ha spesso dichiarato nelle sue interviste (anche in quella rilasciata a me un paio d’anni fa). Qui i suoi fan sono sempre molto ricettivi e lo accolgono con grande entusiasmo. Location nuova, dopo l’Orion e l’Atlantico, stavolta tocca alla nuova struttura estiva denominata Andrea Doria Concert Hall ospitarlo. Il programma recita “inizio ore 23” e con non poca preoccupazione sulla effettiva puntualità ci apprestiamo a prendere posto in prima fila appena l’area concerto viene aperta e, fortunatamente, è con pochissimo ritardo che si apre la serata quando i musicisti e per ultimo Hooky fanno il loro ingresso sul palco. La band è la medesima: Andy Poole alle tastiere/synth/cori, Paul Kehoe alla batteria, David Potts alla chitarra/cori. Unica defezione Jack Bates, figlio di Hooky, impegnato nel tour degli Smashing Pumpkins e sostituito al basso da un (ahimè) non meglio identificato bassista.
Tornando a noi, come preannunciato la setlist prevede una selezione dei migliori brani dei due repertori e si parte proprio dalle origini con No Love Lost tratta dall’EP d’esordio dei Joy Division 'An Ideal For Living' (1978) seguita da un altro pezzo altisonante come Isolation che accendono immediatamente gli animi del pubblico. E di certo i brani del repertorio Joy Division sono quelli che contribuiscono ad animare sempre di più la partecipazione del pubblico: le sanno tutte a memoria e le cantano (direi meglio urlano) appresso ad un frontman più che mai carico e come sempre scatenato sul palco. Ha suonato e cantato muovendosi in continuazione avanti e indietro, da una parte all’altra, salendo anche sulle casse a ridosso delle transenne alle estremità del palco. Le posizioni sono sempre le stesse: il braccio destro teso in avanti, le gambe larghe, il basso che pendola sulle ginocchia leggermente flesse, lo sguardo sempre perso ma fisso nel pubblico: forse sono dei cliché, forse un rituale, forse è solo il suo modo di esprimere la passione che porta con se nella musica e che continua ad alimentare la leggenda della band cult della New Wave.
La serata scivola via abbastanza rapidamente, i brani si susseguono fluidi. Lui non ha la voce di Ian Curtis o, ancor più, di Sumner (e purtroppo sui pezzi dei New Order si nota un po’), e il basso lo suona a mezzo servizio (c’è infatti sempre l’altro bassista a tenere il punto), ma è comunque lui a trainare la baracca. C’è una certa preponderanza di repertorio Joy Division, ma quando arrivano brani come True Faith e Blue Monday (oltretutto uno di seguito all’altro) ci si scatena definitivamente e ballano tutti, anche i binari della ferrovia che ci scorre a fianco, dando davvero la sensazione di aver fatto un balzo indietro al 1987 o al 1983, anni in cui quei singoli vennero pubblicati e fecero il botto in discoteca.
Sul finale di Blue Monday, tutto in mano alle tastiere e synth di Andy Poole, Hooky lascia il basso e, seguito dal batterista, scende dal palco; c’è giusto il tempo per una sigaretta sulle scalette prima di ritornare per il finale proprio mentre David Potts dice “Hey, dove siete? Tornate qui!”. Non c’è nessuna sorpresa, anzi, siamo tutti li in trepidante attesa dei due brani-bomba che chiuderanno la setlist: Transmission e Love Will Tear Us Apart, pietre miliari dei Joy Division che, a mio avviso, sono quelli che per definizione riportano alla mente l’immagine di Ian Curtis: con i suoi occhi grandi e tristi mentre pronuncia parole pesanti come macigni (L’amore ci dilanierà un’altra volta) o inscena un attacco epilettico mentre canta “dance dance dance dance dance to the radio” e il ritmo quasi allegro si scontra con la sua frustrazione ed il gesto estremo messo in atto quel 18 maggio dell’80.
E’ stato divertente, e per niente noioso o banale o “già visto” come sento ogni tanto dire. Lui è l’anima dei Joy Division e senza di lui i New Order di oggi non sono la stessa cosa, punto. E’ la terza volta in tre anni che lo vedo ed ogni volta è uno spettacolo diverso, le setlist sono concepite in maniera diversa, il pubblico è entusiasta e lui non tradisce mai le aspettative. E ogni volta finisce sempre alla stessa maniera: lui si toglie la maglietta e saluta il pubblico (e dopo firma anche autografi e posa per le foto ricordo) a torso nudo come niente fosse…
La storia va raccontata, lui ne è capace, e sarà un piacere sconosciuto per chi non vorrà esserci la prossima volta.
SETLIST:
No Love Lost Isolation Digital Disorder 24 Hours Interzone Dead Souls Heart & Soul New Dawn Fades She’s Lost Control Shadowplay Age of Consent Love Vigilantes Bizarre Love Triangle True Faith Temptation Blue Monday Ceremony Transmission Love Will Tear Us Apart
La foto di Peter Hook all'Andrea Doria è di MG Umbro)
Articolo del
27/07/2015 -
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