Quello degli Uzeda e Shellac è uno dei concerti più attesi, per il ritorno in grande stile dei siciliani, e chiacchierati per le rare discese italiche del gruppo capitanato da Steve Albini. Superati i problemi organizzativi con un prevedibile cambio di location, dall’Init al Blackout, il concerto registra la presenza del pubblico delle grandi occasioni. Alle 22.20 gli Uzeda, il cui secondo disco fu prodotto da Mr. Albini, partono con un set devastante, forte di un’ora di suoni secchi e precisi, maggiorati dalla componente psichedelica che ne aumenta sensibilmente il tiro. Sono in forma e si vede, stasera fra l’altro la resa audio è più che buona. I canali sono puliti e intellegibili, i volumi bastanti. Nessuna distorsione da settaggi sbagliati o compressioni selvagge, è chiaro che il mixer non è nelle mani di ragazzini con tre ore di corso per fonico. Sembra paradossale sentirsi soddisfatti per quella che dovrebbe essere una condizione abituale. Giovanna Cacciola (voce) Agostino Tilotta (chitarra) Raffaele Gulisano (basso) e Davide Oliveri (batteria) mettono a ferro e fuoco il Blackout dando luogo a un set pirotecnico che entusiasma i presenti, esaltati da progressioni e rallentamenti ipnotici. L’energia compressa deflagra attraverso gli incastri fra chitarra e voce, sostenuti dal dialogo serrato della sezione ritmica. Nonostante alcune incertezze, probabilmente dovute alla lunga assenza dalle scene, i quattro cavalieri dal sound piacevolmente ostico superano la prova come solo i fuoriclasse possono fare.
Sono passate da poco le 23.30 quando le primedonne della serata salgono sul palco con luci basse puntate sugli occhi del pubblico. Senza nessuna parola e con un montante in pieno volto, che supera la guardia, lo show ha inizio. Il sound degli Shellac appare più asciutto e matematicamente perfetto, non mostra sbavature d’esecuzione né dilatazioni psicotrope. Il basso, fuso con i roboanti rintocchi della cassa, crea un effetto potente e inarrestabile come un cingolato. Le chitarre sferzano le orecchie dei presenti per un’ora e mezza in cui si pesca a piene mani dal presente e passato. Senza un ordine preciso arrivano My Black Ass e Compliant per scivolare su Canada seguita a ruota da Squirrel Song e Steady As She Goes. Siamo a metà show, i tre sembrano voler riprendere fiato camuffando il debito d’ossigeno con un teatrino in cui il bassista si lascia porre delle domande dagli astanti, neanche fossimo a una conferenza stampa. Il pubblico romano, molto colorito nei toni, si lascia sfuggire qualche cristone che suscita l’ilarità di tutti e alcuni simpatici insulti. Dopo il rifiuto di Bob di concedere un sorso d’acqua a un ragazzo in prima fila, dirottando la richiesta a Steve, si riparte con Wingwalker e All The Surveyors. Il live procede senza grossi intoppi finché nell’ultima parte l’intensità cala sensibilmente. Lo spettacolo, che fino a quel momento aveva tutte le carte in regola per entrare nell’Olimpo della perfezione, cede il passo ai siciliani. Sul finale arriva una raddrizzata necessaria affidata a Watch Song, The End of Radio, Dog And Pony Show, Prayer To God e Dude Incredible. Il pubblico è comunque soddisfatto, i sorrisi sono il termometro di questa serata capace di funzionare solo per il giusto equilibrio fra due band che si sono scambiate il testimone completandosi a vicenda.
A fine concerto la sensazione di molti, condivisa da chi scrive, è che la band siciliana abbia fatto mangiare un po’ di polvere agli americani. Se paragonato al concerto degli Shellac di tre anni fa al Primavera Sound, nettamente superiore in potenza e intensità, non possiamo che essere d’accordo con i dubbiosi. Risuonerà potente come una bestemmia dentro un convento e addirittura come mancanza di competenza del redattore ma tant’è, con buona pace di Steve Albini. Questo reversibile calo non sminuisce in nessun modo la grandezza e l’importanza storica del trio. L’unica, certezza a fine serata, è di aver assistito a un spettacolo che si candida, con ottime possibilità di vincere, al concerto dell’anno.
(La foto di Steve Albini sul palco è di Francesco Donadio)
Articolo del
29/05/2015 -
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