Sono oramai diversi anni che inseguiamo Four Tet, al secolo Kieran Hebden, in giro per Roma e l'Europa. È stata quindi una gioia immensa potercelo avere letteralmente sotto casa, grazie all’organizzazione dei K Party di Doppia Palma, nell'accogliente Ballroom notturna degli Internazionali di tennis del Foro Italico, in quello spicchio racchiuso tra il lungotevere e la piccola selva di Monte Mario.
È un martedì sera e Four Tet sale alla consolle passata la mezzanotte per rimanerci un paio d’ore e mezzo, fin oltre le 2,30, con una dance hall assai lontana dal tutto esaurito (la pista è davvero ampia, in verità!). Kieran si presenta con la solita felpetta con cappuccio, capelli arruffati, occhiaie profonde e non alzerà mai la testa verso un pubblico molto eterogeneo, per età e stili. Il set parte con la solita, raffinata, ricerca sonora di malinconiche melodie e beat molto storti, che evitano la cassa dritta e disorientano parte dell’uditorio. È un inizio a metà tra bedroom idm e sonorità elettriche destrutturate: come se lo spazio onirico della propria cameretta si aprisse sulla notte della primavera romana. Poi si entra nella parte più immaginifica del dj set. La cassa comincia a diventare rotonda e dritta, per la felicità di larga parte di ballerine e ballerini, con sempre più frequenti lampi soul. Soprattutto si aprono squarci di suoni dal mondo: caleidoscopi caraibici, cori da Africa nera, ritmiche da Copacabana. Sono passaggi che fanno pensare all’irriducibile ricchezza sonica dei set di Gilles Peterson. Poi ecco incursioni quasi da blaxploitation music e l’insistenza di percussioni al contempo sia tribali che iper-digitalizzate. Riconosciamo Percussions di KHLHI, quindi Makondi di Emanative, nel remix dello stesso Four Tet, le svisate soul di We’ve Had Enough di Arnie Love & The Lovettes. Quindi la potente chiusura prolungata con uno degli ultimi lavori di Four Tet in collaborazione con Martyn: Glassbeadgames. Un set in bilico tra illuminazioni e oscura ricerca elettronica che negli ultimi anni Four Tet ha condotto con l'altro oscuro manipolatore di profondi suoni elettronici metropolitani chiamato Burial, ambedue anche accompagnati dalla voce di Thom Yorke. Gran bella serata, quindi. Con l’invidiabile piacere di avere uno dei propri producer preferiti praticamente sotto casa. A Roma Nord, a un passo da Ponte Milvio, accanto allo Stadio Olimpico (per stare al “giochetto” che vuole una Roma spaccata culturalmente in due: tra il Nord dei “quartieri alti” e il Sud “tardo-freakettone” e hipster). E qui ci sarebbe da notare come l’inizio di questa (anticipata) estate romana sia particolare. Per tradizione gli Internazionali di Tennis di Roma inaugurano i lunghi mesi delle nottate romane all’aperto. Fino all'anno scorso c'era il Villaggio Vip, in compagnia di circuiti musicali tradizionalmente commerciali e di un pubblico “da Roma Nord”. Quest’anno c’è l’elettronica di qualità, quella che gravita intorno a locali storici come il Goa di via di Libetta, quartiere Ostiense, che già negli anni novanta portava Goldie e dj Storm, o il Circolo degli Artisti, dove aveva suonato Four Tet qualche anno fa. E che sembrava non si potesse spingere fino al cuore di Roma Nord, spesso persa tra nottate in maschera della Roma sguaiata dei “quartieri bene” e strane frequentazioni diurne da film “poliziottesco” anni Settanta. Se giocassimo al piccolo antropologo noteremmo che tra il pubblico di Four Tet erano presenti molte barbette hipster fuori tempo massimo, un fondo assai dark, soprattutto tra le ragazze, e quasi del tutto assenti le camice bianca di ordinanza delle serate “parioline”, rimpiazzate da quadrettoni e felpette. Roma sembra farsi “nord europea” e forse toccherà di trovare un nuovo gioco di società oltre Roma Nord e Roma Sud.
Articolo del
15/05/2015 -
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