Sapevamo che il Rock Progressivo a Roma - e in Italia in genere - può contare su moltissimi seguaci, ma vedere un luogo storico come il Teatro Sistina pieno in ogni ordine di posto per accogliere il ritorno in concerto di Steven Wilson, voce solista e principale compositore dei Porcupine Tree, desta comunque una forte impressione. E’ stato un po’ come se gli appassionati e gli intenditori di musica si fossero dati appuntamento, intenzionati a prendersi una rivincita sui vari talent, sulle boyz band britanniche, su Fedez e su tante altre vuote banalità che infestano la scena musicale odierna.
Steven Wilson presenta dal vivo 'Hand.Cannot.Erase', l’ultima sua fatica discografica, quarto album solo, piccolo capolavoro di un periodo recente assolutamente prolifico, che gli ha già portato molte altre soddisfazioni. Si tratta in realtà di un concept album interamente dedicato a Joyce Carol Vincent, giovane donna di 38 anni trovata morta nel suo appartamento a Londra nel 2006, tre anni dopo il suo decesso, senza che nessuno l’avesse mai cercata. La televisione era ancora accesa, la lavatrice non era stata spenta, il frigorifero era pieno ed i regali di Natale erano sul tavolo, pronti per essere scartati. Una storia triste, di solitudine e di abbandono, raccontata non solo attraverso i superbi passaggi armonici di brani come First Regret , 3Years Later e Perfect Life, ma anche su uno schermo che fa da sfondo al concerto sul quale vengono proiettati le immagini di Joyce, che indossa una maglietta nera dei Joy Division con la scritta “Love Will Tear Us Apart”.
E’ quello il periodo in cui nasce musicalmente Steven Wilson, che ascoltava gruppi come i Cocteau Twins, The Cure e per l’appunto i Joy Division di Ian Curtis. E’ lui stesso a rivelarlo al pubblico: “Molta critica accomuna la mia musica al Progressive Rock dei primi anni Settanta” sorride Steven “ma in realtà le mie radici musicali sono negli anni Ottanta e ho avuto anche una fase 'shoegaze' che è rintracciabile anche in alcune delle mie nuove composizioni”. E via con un diluvio di note che mettono insieme Dark Wave, la prima era psichedelica e melodie intense e sognanti.
Accanto a Wilson, che si alterna continuamente alla chitarra acustica, a quella elettrica e al piano, troviamo sul palco il talentuoso Guthrie Govan, alla chitarra solista,Nick Beggs, ex Kajagoogoo, al basso, Adam Holzman , alle tastiere e Marco Minnemann, alla batteria. Il gruppo si fa apprezzare perché - malgrado le sonorità decisamente alte, i toni epici e citazioni proprie dell’heavy metal - riesce a mantenere una pulizia di suono invidiabile.
Sappiamo che alcuni si sono lamentati dell’acustica del Teatro Sistina, definendola poco adatta ai concerti rock, in realtà solo chi era seduto troppo davanti al palco ha sofferto di questo problema. Noi che eravamo posizionati più indietro, abbiamo potuto gustare le evoluzioni musicali di Steven Wilson & Co. senza problemi. Un suono pieno, di impostazione classica che si nutre di rock sinfonico ma che apre di tanto in tanto ad apporti elettronici. Splendida, su tutto, l’esecuzione di Routine, una composizione articolata e complessa, introdotta dalle note di piano e dal canto senza uguali di Steven Wilson, la cui presenza scenica è sempre discreta ma ciò nonostante carismatica. Sarebbe dovuta essere presente sul palco Ninet Tayeb, la vocalist israeliana che ha inciso il brano con lui in studio. Ma Ninet ha appena avuto un bambino e non ha potuto raggiungere gli altri in tour. Il suo apporto vocale è comunque presente e la sua voce registrata duetta con quella di Wilson prima di cedere il passo alla chitarra di Govan, imperiosa, melodiosa e lancinante. E’ musica ancestrale, c’è di che sentirsi fortunati ad essere qui, davanti all’unica band che riesce ancora a far emozionare il Re Cremisi, Robert Fripp , davanti ad un gruppo di musicisti veri, che sanno ancora far emozionare con intelligenza e passione. Rispetto ad altre sue precedente esibizioni, il substrato rock è dominante rispetto alle influenze jazz, comunque presenti dell’autore. Una vera e propria piece che vede come protagonista Joyce, una donna giovane, attraente, che aveva molti amici, nessuno dei quali però si è dato la pena di cercarla per tre anni.
La setlist è basata quasi interamente sul nuovo album, ma non mancano incursioni nel passato, come Lazarus tratta da 'Dead Wing', album dei Porcupine Tree uscito nel 2005. Steven Wilson si concede qualche pausa ogni tanto, sia per chiedere il risultato di Italia Vs. Inghilterra che si gioca in contemporanea a Torino, sia per ringraziare il pubblico di Roma: “Ancora ricordo quando sono venuto da voi la prima volta nel 1995: in Inghilterra venivano a sentirci non più di quattro persone e forse un cane, mentre voi fin da allora avete riempito il locale. E’ per questo che sono sempre molto contento quando torno da voi.”
Il concerto dura oltre due ore, passa attraverso il progressive metal di Home Invasion e si spinge fino all’inseguirsi di assolo ultra tecnici di Holzman alle tastiere e di Govan alla chitarra elettrica su Regret n9. Davvero un bel sentire! Indimenticabili anche le esecuzioni di Ancestral e nel finale di Sleep Together, un altro brano targato Porcupine Tree.
SETLIST:
First Regret 3 Years Older Hand Cannot Erase Perfect Life Routine Lazarus Home Invasion Regret #9 Harmony Korine Ancestral Ascendant Here On Happy Returns
Encore The Watchmaker Sleep Together
Encore 2 The Raven That Refused to Sing
Articolo del
03/04/2015 -
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