Di ritorno dal loro furioso live a Milano, in apertura ai temibili crucchi Colour Haze, i Radio Moscow approdano per la sesta volta in 4 anni sul luogo del delitto, l’Init, compiendo ennesime nefandezze soniche ai danni delle orecchie e per la gioia del cuore di tutti i presenti. Dopo essere andati al Lo-Fi di Milano per vederli anche stasera non possiamo mancare: Parker Griggs in Fender, Anthony Rickenbacker Meier e Paul Marrone in love with Ludwig salgono sul palco alle 23.10. Due o tre accordi per provare che sia tutto collegato correttamente, una presentazione fulminea e via con l’apertura potente del nuovo live set. La band di Griggs è cambiata migliorando con il tempo, le continue mutazioni genetiche dovute ai cambi di formazione e l’esperienza accumulata nei tour hanno spostato l’asse iniziale, saldamente ancorato all’hard blues, verso uno space rock in cui dilatazioni e contaminazioni emergono dalle lunghe jam. Ciò permette, non solo a Parker di correre veloce sul manico della Fender mostrando tutta la sua classe, al resto della band di esprimere al meglio le potenzialità. A dar fuoco alle polveri ci pensa Death Of A Queen (dall’ultimo ”Magical Dirt”). Come nei concerti vintage di trent’anni fa la partenza è lenta e ponderata ma il livello di violenza e gli assoli s’innalzano pericolosamente sin dalla seconda take Rancho Tehama Airport che, sebbene mostri scorie stoner e voglia di cambiamento, soccombe all’amore incondizionato (croce e delizia di Parker e di tutti noi presenti) per gli stilemi classici del blues. Precedute dalla sismica Broke Down, 250 Miles e Brain Cycles rimettono le cose in ordine ammettendo il trionfo assoluto degli anni settanta. Due bolgie cosmiche perfette per il drumming secco e preciso di Paul Marrone, capelluto trattorista delle pelli completamente nascosto dalla penombra. Ma è nelle jam Before It Burns che lo spirito di Hendrix, e del suo capolavoro “Third Stone From The Sun”, s’abbatte sulla struttura dell’Init facendone tremare le colonne portanti. I tre costruiscono un muro di suono impressionante, i volti dei presenti sono soddisfatti e con il passare dei minuti l’intensità dello show è tanto alta da scatenare un pogo infernale sotto il palco. Conscio di tutto ciò e sempre molto rilassato, con tanto di sorriso sornione, l’esile Parker calca la mano sulla chitarra ottenendo un boogie selvaggio generato dal rifferama figlio di Hendrix e Page. A rincarare la dose di sano psych rock ci pensano la rozza I Just Don’t Know, più che una canzone sembra una dichiarazione di guerra, e No Time preceduta a sua volta dall’ottimo blues in 4/4 Deep Blue Sea. A questo punto che nessuno osi contraddire che stasera siamo nei seventies, quindi l’omaggio a Jimi attraverso Open Your Eyes il cui rifferama è palesemente mutuato da Purple Haze è più che giustificato. Anche l’immancabile, ma intelligente e ridotto, solo di batteria non (si) lascia desiderare permettendo a Parker di riaccordare il suo strumento prima dei due encore These Days e della conclusiva bolgia ritmica No Good Woman. L’ennesima conferma per una band in continua ascesa, nonostante i detrattori accusino Griggs di logorrea solistica, i nostri possiedono qualcosa d'ancestrale, una carica selvaggia e dirompente a cui qualunque cavernicolo dell’hard rock blues non può sottrarsi. Da non perdere per nessuna (fatevene una) ragione.
Articolo del
21/03/2015 -
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