Entra sul palco appoggiandosi ad un bastone David Thomas, unico membro originale e principale “songwriter” dei Pere Ubu, la band che ormai 40 anni fa sconvolse tutto il panorama punk e new wave della scena musicale americana. E’ decisamente più stanco e le sue condizioni di salute sembrano decisamente peggiorate rispetto all’ultima volta che avevamo visto il suo gruppo esibirsi dal vivo, nel Maggio del 2007 a Roma, al Circolo degli Artisti. Si appoggia su una sedia ed impugna una chitarra elettrica che da lì a poco strofinerà come si deve. David è molto attento a posizionare accanto a sé, e con estrema cura, una bottiglia di vino rosso di qualità dubbia acquistata nel primo supermercato trovato aperto e quasi controvoglia, con gli occhi ancora semichiusi, inizia il suo show. Legge da uno spartito i suoi testi, sembra un “reading” di quelli di fine anni Sessanta dei poeti della “beat generation”, ma è qualcosa di più: è la “Moon Unit” dei Pere Ubu, una lunga “suite” di circa trenta minuti che diventa il reame dell’improvvisazione, della sperimentazione più cupa, della “dark wave” più folle che orecchio umano possa ancora ascoltare. Quando comincia a cantare, oppure quando recita il suo “spoken word”, David Thomas si dimostra infinitamente più lucido di quanto avevamo temuto. La sua voce, ora disperata, ora cinica e tagliente, è lo strumento attraverso il quale passano storie di disillusione, di allucinazioni, di visioni e di morte «Don’t cry when you see me go» invoca Mr Thomas, mentre il resto della band è impegnato in un crescendo incredibile, che mescola noise rock, elettronica, free jazz, punk rock e musica di avanguardia senza badare a etichette, categorie o generi musicali. E’ quanto di più vicino possiate immaginare ad un “brainstorming” tradotto in musica, è l’elegia dell’ultimo sopravvissuto di una stagione punk iconoclasta e ribelle che lui iniziò con i Rocket From The Tombs nel lontano 1975, a Cleveland, in Ohio. Echi Stooges, energia pura, rabbia incontenibile, con musicisti che finirono poi nei Dead Boys o, per l’appunto, nei Pere Ubu. Adesso con lui sul palco, ci sono altri musicisti, quelli che da dieci anni a questa parte, hanno aggiornato l’ultima versione delle grida dei Pere Ubu verso il mondo moderno: Keith Moulinè alla chitarra elettrica, Gagarin all’elettronica, Robert Wheeler ai computer, Darryl Boon al clarinetto, e Steve Mehlman alla batteria.
Al termine dell’esecuzione, la band si concede una pausa di quindici minuti, per poi tornare sul palco ad affrontare la parte più “classica” dello show, quella che prevede le “canzoni” tratte dai numerosi album che hanno caratterizzato la produzione invero moto fertile dei Pere Ubu. Brani come Bus Station, Carnival, Road To Utah e Irene sono tratti da “Carnival Of Souls”, l’ultimo album ufficiale della band, il diciottesimo in ordine cronologico. Il disco non è altro che la sonorizzazione di quello che fu l’ultimo documentario di Herk Harvey, intitolato proprio “Carnival Of Souls” e che risale al1962. In questa seconda parte dello show, l’impatto sonoro è tale da rendere ancora più riconoscibili le radici “garage” e “punk rock” della band. E David Thomas comincia anche a divertirsi, dialoga amabilmente con il pubblico, provoca le ragazze più giovani delle prime fila, le minaccia quasi «Guardami bene! Un giorno io sarò per te, l’unico uomo che potrai permetterti!». Ad un certo punto, dopo aver sorseggiato l’ennesimo bicchiere di vino, David Thomas si toglie una scarpa: ha dei problemi con un calzino. Senza curarsi del pubblico, se lo sfila dal piede e lo ondeggia - maleodorante e sporco come è - sopra la testa, trionfante come se stesse agitando una bandiera! E’ la sua personalissima “sock dance”, con una giovane signorina dietro di me un po’ timorosa del fatto che potesse poi lanciarglielo addosso (mi sa che non hai capito dove sei e perché sei venuta). Su Caroleen tratta da “Why I Hate Women”, David Thomas canta in falsetto e imita tonalità femminili, mentre su Memphis, da “Ray Gun Suitcase”, si diverte a riproporre un rock and roll basico ed essenziale. E’ la serata delle riproposte di brani meno noti, come Long Walk Home e Vulgar Boatman Bird, presenti su “Song Of The Bailing Man” del 1982, ma non è in scaletta Final Solution, il brano simbolo della stagione punk del gruppo. Bellissime anche le esecuzioni di Come Home, da “Story Of My Life” e Road Trip of Bipasha Ahmed da “ Lady From Shangai”, il penultimo album della band.
La struttura melodica di un singolo brano per un gruppo come i Pere Ubu è soltanto un’occasione, un momento, un punto di partenza per dare vita ad un susseguirsi di note, sviluppi ritmici, passaggi sonori che nulla hanno di armonico, di facilmente riconoscibile. E’ tensione mentale, è energia psichica allo stato puro, qualcosa che incute paura, che permette però di volare alto, lungo territori difficili da definire. David Thomas esercita un controllo quasi maniacale della situazione: non vede i suoi musicisti, sono dietro di lui, ma li sente suonare e li comanda con semplici gesti delle braccia. Li rimprovera in pubblico, quando per esempio la chitarra entra in ritardo o la batteria non è a tempo. E’ un maestro di scuola, burbero ed esigente, ma dotato di una lucidità bruciante. Verso la fine dello show, intrattiene il pubblico sul tema delle “relazioni umane”: «Io non ho bisogno di voi» confessa amabilmente «E voi non avete bisogno di me. Siamo come navi che si incontrano di notte nell’Oceano» E aggiunge «Volete sapere il vero motivo per cui siamo qui? Ma per vendere i nostri dischi, le nostre magliette, i nostri poster, naturalmente! Anzi, se andate subito al banco del “merchandise” e comprate qualcosa, la vostra vita futura sarà migliore! E anche quella passata! Sì perché il semplice fatto di acquistare prodotti dei Pere Ubu ripara anche le ferite e i danni del vostro passato. Fidatevi! ». Un gigante!
SET LIST Come Home Long Walk Home 333 Bus Station Carnival Nevada Road To Utah Vulgar Boatman Bird Road Trip of Bipasha Ahmed Memphis 414 Seconds Monday Morning Caroleene Winter In Firelands Encore Irene
(La foto dei Pere Ubu in concerto all'Orion Club è di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
18/02/2015 -
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