Schegge di New Wave, squarci Punk e rallentamenti psichedelici: questi i tratti distintivi dell’esibizione dei Diaframma. Come nella precedente “incursione” romana (sempre al Blackout), un viaggio di un paio d’ore nel canzoniere di un autore che, sebbene lontano dalla ribalta, dal successo di massa, ha lasciato un segno nella musica italiana degli ultimi trent’anni.
Un set intenso, spesso coinvolgente, offerto da una band affiatata e da un frontman carismatico, consapevole di trovarsi di fronte a tanti fan che pendono dalle sue labbra. I Diaframma non si risparmiano, macinano un pezzo dopo l’altro con stile asciutto e conquistano il pubblico. Non tutto funziona, va detto. Nonostante il trasporto innegabile della performance (e il memorabile commento pungente di Federico Fiumani rivolto a chi, in fila fuori dal locale in attesa di ballare, evidentemente fa pressioni perché il concerto finisca: “avrei suonato tutta la notte pur di non farli entrare”), non mancano momenti in cui lo spettacolo perde mordente. Bellissimi e travolgenti brani quali Adoro guardarti (grande esecuzione), Io sto con te (ma amo un’altra), Gennaio, Libra, Un temporale in campagna (con un magnifico break di chitarra), I giorni dell’IRA, Siberia; suggestivi i saliscendi di ballate come Un giorno balordo, Verde, Labbra blu, In perfetta solitudine e Io ho te (che all’inizio sembra una rilettura di Atmosphere dei Joy Division). Numerose però anche le interpretazioni abbastanza anonime, a partire dalla cover di Fabrizio De André La canzone dell’amore perduto.
Due ore di concerto sono troppe, almeno per i non fedelissimi, anche se spiace muovere una critica del genere a un artista come Fiumani, che sul palco dà il cento per cento, e che, incurante delle mode, tira dritto per la sua strada.
Articolo del
01/02/2015 -
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