C’era davvero un bel po’ di Roma a cantare Neil Young venerdì scorso al Cross Roads. In una serata fredda e umida, un cast degno di un festival si è radunato su questo palco noto per una programmazione molto importante e variegata, ed ha reso omaggio ad uno dei simboli del folk e rock degli anni ’70, riproponendo il repertorio di un album che ha fatto un po’ la sua storia, ovvero “Rust Never Sleeps” e andando a rievocare anche il successivo “Live Rust”. Lo spettacolo, come anticipato, si preannuncia ricco, dato che per l’occasione sono intervenuti Luca Barbarossa (accompagnato da Mario Amici e Giovanna Famulari), Leo Pari, The Niro, Emma Tricca, Gabriella Paravati, Stefano Frollano e Francesco Lucarelli, accompagnati dai Dangerbyrds. A lato del palco, dietro alla sua console, Valerio Mirabella ha raccontato e commentato in diretta web radio con i protagonisti questo breve viaggio nella west coast.
Dopo la presentazione con Francesco Lucarelli e Stefano Frollano (che insieme a Leo Pari sono stati i promotori di questa avvincente serata) lo show è iniziato con tutti i protagonisti sul palco per l’apertura con Tonight’s The Night. La prima parte è all’insegna dell’acustico, e il set si delinea subito con Emma Tricca che con la sua bellissima voce e la chitarra, ci ha regalato una emozionante Sugar Mountain, dando subito per certo che avremmo assistito ad un concerto con altissime qualità sonore. Giusto un paio di minuti di intrattenimento al microfono di Valerio dove Emma ha espresso la sua gratitudine per essere stata invitata e l’apprezzamento per la musica di Neil Young, e subito si fa spazio Leo Pari che, non appena sistemato qualche problema di suono, con chitarra e armonica ci tuffa appieno nel tema portante del disco protagonista, ovvero My My, Hey Hey (Out of the Blue), bellissimo brano che apre (e in un certo senso chiude) Rust Never Sleeps.
Arriva il turno di The Niro che con non poca emozione interpreta I Am a Child, e l’emozione si trasmette interamente al pubblico che aveva già riempito completamente la sala con largo anticipo. Anche The Niro ammette poi che come tanti di noi, il suo primo approccio fu con l’ascolto di “Harvest” per poi andare ad approfondire la sconfinata discografia dell’artista canadese. Ritorna poi sul palco Leo Pari per la bella After the Gold Rush eseguita voce e tastiera. Anche lui passa per un saluto al microfono e racconta della sua passione per Young da quando aveva iniziato a fare musica. L’ultima frazione di questo set acustico è affidata ad un trio: Francesco Lucarelli (chitarra acustica, armonica e voce), Stefano Frollano, (chitarra acustica, elettrica e voce) e la voce di Gabriella Paravati. Con un breve cenno di presentazione per ognuna, eseguono tre canzoni, ossia Thrasher, Sail Away e Pocahontas.
A questo punto fanno ingresso sul palco il resto dei Dangerbyrds, ovvero Marco Molino (batteria) Gianluca Galletti (chitarra elettrica e voce) Fabrizio Settimi (basso) e con la partecipazione di Leo Pari alla chitarra, il set elettrico parte con When You Dance I Can Really Love. Segue The Loner, cantata da Stefano Frollano coadiuvato dalle voci di Pari, Lucarelli e Paravati. Poi c’è un cambio di frontman, infatti per l’esecuzione di un’altra perla di questo disco e del repertorio Young, prende posto al microfono The Niro che accompagnato dai Dangerbyrds con Stefano Frollano alla chitarra solista, ci delizia con Cortez The Killer. A chiudere solo temporaneamente il loro set, arriva Cinnamon Girl, con le voci di Frollano, Lucarelli e Paravati. Siamo quindi al cuore della serata che già fino a questo punto ha soddisfatto pienamente tutte le nostre aspettative.
E’ il momento dell’ospite principale, Luca Barbarossa, che con la sua chitarra prende posto sul palco accompagnato da Mario Amici (chitarra acustica e voci) e da Giovanna Famulari (al violoncello). Un set tanto bello musicalmente quanto divertente per l’innata capacità di Barbarossa di intrattenersi col pubblico in vero stile “Social Club” (la trasmissione radiofonica di cui è conduttore su Radio2), che ha fornito la versione romana del titolo dell’album rievocato (“La ruzza nun s’addorme. Perché a Roma se ridimensiona tutto” che ha fatto letteralmente sbellicare tutti), sottolineando che si era adeguato anche lui indossando una camicia a quadri stile cow boy (citando Carlo Massarini, sotto il palco a fotografare, come precursore) e raccontando che aveva accettato di partecipare solo a condizione che anche Neil Young facesse un concerto di cover delle sue canzoni. In questo clima così rilassato e confidenziale, la sua performance si è consumata con i brani Comes a Time, The Needle and the Damage Done, Lotta Love (per la quale chiama sul palco i Dangerbyrds con Leo Pari alla tastiera) e Out On The Weekend, unico brano tratto da un album diverso (“Harvest”). Saluta tutti ripresentando i suoi musicisti e lascia il palco ai Dangerbyrds per Powderfinger per fermarsi anche lui qualche istante alla console di Valerio Mirabella per ringraziare e commentare con piacere il fatto di essere stato coinvolto in questa serata di grande musica.
Ci si avvia verso la fine e a questo punto sul palco Leo Pari si unisce ai Dangerbyrds per Welfare Mother, cantata praticamente da tutti, e l’apprezzatissima Hurricane, con la quale Francesco Lucarelli presenta di nuovo i membri della band. Ci vuole solo qualche istante di respiro per poi radunare anche gli altri: Emma Tricca, The Niro, Barbarossa con Mario Amici e Giovanna Famulari riempiono il palco per il gran finale sulle note di Hey Hey, My My (into the black) che chiude l’album e chiude anche questa meravigliosa rievocazione con tutte queste personalità distinte del nostro panorama musicale ma con una grande passione comune che stasera hanno voluto condividere con noi. Un’operazione non facile da mettere insieme e con delle aspettative altissime che a mio avviso non sono state affatto disattese, ma anzi superate. Si è visto con quanto impegno tutti i musicisti e cantanti hanno messo a disposizione la loro esperienza e le loro peculiarità per dare vita ad un progetto vincente non solo dal punto di vista qualitativo della musica ma anche come intrattenimento culturale.
Ho voluto chiedere un breve commento ai tre principali promotori di questo evento.
Come è nata l'idea e come avete costruito lo spettacolo?
Francesco Lucarelli: Dopo l'estate, avevo voglia di trovare nuovi stimoli, lavorare con qualcuno al di fuori dal mio solito giro. Volevo mettere in piedi un bel progetto, che mi restituisse il piacere di fare musica in un contesto sempre meno interessato alla musica come arte. Leo Pari, che avevo incontrato a fine 2013 per via della comune passione per Neil Young, mi sembrava la persona adatta. Cantautore, motore dell'etichetta Gas Vintage Records, artista irrequieto. La persona giusta con la quale azzardare qualcosa di poco comune: invitare qualche amico, lasciare per una sera il proprio repertorio e omaggiare Neil Young, musicista amato trasversalmente. Un rischio per gli artisti più affermati: l'ottusità italiana avrebbe sicuramente portato qualcuno a commentare "guarda quello come è finito: partecipa ad una serata di cover". All'estero cose del genere avvengono abitualmente ma qui è molto raro. Quindi ho apprezzato moltissimo la disponibilità di The Niro, Luca Barbarossa ed Emma Tricca di cimentarsi per una sera con un repertorio per loro poco usuale. Si sono lanciati con l'entusiasmo e la passione di chi ama la musica profondamente. E credo che questa sia stata la caratteristica comune a tutti gli artisti che hanno partecipato alla serata, dai più ai meno famosi. La passione. Penso che, nonostante i limitati mezzi economici, siamo riusciti a portare sul palco un bello spettacolo. E ringrazio Massimo Aversano e il Crossroads per averci ospitato. Ora però vorrei alzare l'asticella. Mi piacerebbe bissare lo spettacolo con lo stesso cast ma con un concerto di materiale originale. In fondo, tutti noi artisti della Notte della Ruggine abbiamo piccole o grandi storie musicali da raccontare. L'altra faccia della Notte della Ruggine potrebbe riservare sorprese ed emozioni ancora più belle.
Vorrei sapere qual è il tuo rapporto con la musica di Neil Young, quale ispirazione ha dato al tuo percorso musicale e quali sono i potenziali rischi di un cantautore affermato ad esibirsi in cover di mostri sacri del rock.
Leo Pari: Neil Young fa parte del mio background musicale da tempi immemori. Ricordo che verso i 12 anni tornavo da scuola e trovavo spesso mio fratello maggiore con un suo amico che strimpellavano due chitarre acustiche davanti ad uno spartito di "Old Man". Ero già un avido ascoltatore di musica, e mi documentai, partendo ovviamente da "Harvest", spesso primo porto di approccio alla sconfinata produzione dell'artista canadese. Ricordo che mi piacque molto, ma al tempo ero completamente rapito dalla musica Progressive, e quindi fu un ascolto che misi da parte, perché mi suonava troppo semplice, troppo "normale" . Ma il capitolo Young non era chiuso, anzi lo avrei ripreso e approfondito qualche anno dopo, diventando un discreto esperto e conoscitore di quasi tutti gli album. E non posso negare che Neil Young non abbia influenzato la mia musica, specie nel periodo "San La Muerte" o nel mio album "Rèsina". Personalmente non trovo rischioso o spersonalizzante partecipare ad una celebrazione di un artista del genere, ma anzi è stato divertente e mi ha dato la possibilità di collaborare con altri musicisti di spessore. Una serata di rock ci vuole ogni tanto.
Vorrei una tua riflessione sull’influenza che ha avuto Neil Young sulla tua musica, e qualche considerazione sul fatto che stasera sullo stesso palco si sono incontrati artisti di diversa estrazione, inclusi te e Francesco anche voi cantautori con una vostra storia musicale e dischi di inediti di grande qualità.
Stefano Frollano: La serata è stata magnifica perché musicisti di diverse generazioni hanno confermato la grandezza dell'artista canadese. Un artista popolare nel senso bello del termine ma, al contempo, divenuto di nicchia. Non è un caso che proprio un suo brano, la chiave non solo della sua arte, My My Hey Hey, sia diventata importante per la storia del rock. Il rock non è solo musica ma anche narrazione per e delle generazioni che lo vivono da decenni. Johnny Rotten, Elvis Presley, lo stesso Young, i Devo e in ultimo Kurt Cobain rappresentano i 65 anni di questo linguaggio che fa muovere il bacino, battere il ritmo, creare dischi, canzoni, muovere le persone, scrivere di rivolta, di denunce oppure essere semplice intrattenimento. Il rock come lo racconta Young diventa così un aspetto della vita di tutti. Noi l’altra sera, utilizzando , reinterpretando, distorcendo le sue canzoni abbiamo vissuto con i presenti una esperienza unica. Il rapporto tra quello che scrivo io e la musica di Young è una linea sottile a volte. Sono da sempre, le sue canzoni, ispirazione pura per me ma non potrei mai fare la stessa cosa. Certamente i suoni, forse gli arrangiamenti in alcuni casi. Il mio tentativo è quello di allontanarmi il più possibile. Il mio primo album era vicino alla California, il secondo meno, il prossimo sarà diverso.
(La Foto della serata è di Maria Grazia Umbro)
Articolo del
27/01/2015 -
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