Il tempo è stato tiranno, per ragioni anagrafiche non ho mai visto in azione i Kyuss, né tutte le band satelliti create con fatica da John Garcia. I Vista Chino, gli Hermano, Unida e Slow Burn in Italia hanno girato davvero poco, almeno non qui a Roma.
Stavolta l’ex-singer dei Kyuss è arrivato per tre date, una proprio sotto casa. È l’Init a ospitarlo insieme alla sua nuova band, impegnato nella presentazione dell’ultima fatica in studio, intitolata proprio John Garcia. Prima di lui altre due band salgono sul palco dando fuoco alle polveri con riff figli della band stoner per antonomasia. I primi mostrano un sound abbastanza prevedibile ma verso la fine salgono di giri mutando pelle e lasciandosi alle spalle l’influenza dei loro mentori per abbracciare due brani plumbei che fanno drizzare i capelli ai presenti. Komatsu, prova superata. Gli Steak sono un quattro cavalieri londinesi, pagano un dazio molto alto ai Kyuss ma senza cadere nello scimmiottamento e mostrando forte personalità. Potenti quanto basta, e capaci di alzare una tempesta fatta di suoni massicci, riescono a convincere il pubblico che gli tributa urla e “daje” in quantità.
Verso la mezzanotte ansia e irrequietezza salgono di pari passo con il tasso alcolemico del pubblico. Essere presente a quello che si potrebbe definire, senza paura di essere smentiti, uno degli eventi assoluti dell’anno mette la pelle d’oca. I primi a salire on stage sono i suoi compagni di viaggio, dopo pochi minuti John imbocca il palco con un taglio di capelli improbabile e qualche chilo in più che comunque non lo fa sfigurare agli occhi di tutti i suoi fan. Che sia in forma è facilmente comprensibile dall’uso generoso della voce, praticamente immutata, e dall’utilizzo massiccio di tonalità alte. Le corde vocali sono una carezza ruvida che parla di dolore e blues, che sa picchiare forte e accarezzare. Ascoltarlo è puro spettacolo, delizia per le orecchie, i paragoni con la mediocrità di tantissimi gruppetti, impegnati a fare male i poser, è impietoso. Garcia stuzzica il pubblico chiedendo qualcosa da gustare, sotto il palco sono in molti a non farsi pregare. Una mano anonima e fiera gli passa qualcosa che sembra una sigaretta geneticamente modificata. Lui l’afferra aspirando avidamente e la passa al batterista che, alzando le braccia in segno di vittoria, ringrazia sentitamente.
Da lì in poi il concerto decolla senza mostrare segni di stanca. Si pesca a piene mani dal presente (My Mind) al passato (800), nel mezzo scorrono anche brani degli Slo Burn. La timbrica, quel canto roco e l’esperienza accumulata negli anni lasciano senza fiato. L’emozione è grande e l’intro di Caterpillar March non lascia più alcun dubbio superando di gran lunga le aspettative sviluppate in questi anni d’attesa.
One Inch Man ti lascia frastornato, prendendoti in contropiede per arrivare dritta alla meta. Green Machine anticipa il primo degli encore, nel frattempo siamo intorno all’ora e mezza, sotto il palco una manica di scalmanati stanno creando il panico con grande soddisfazione, mista a stupore, dello stesso John. Linearità strutturale, melodia semplice e sezione ritmica schiacciasassi sono i pilastri portanti di un brano dalla bellezza distruttiva. Intanto il chitarrista è sceso in mezzo al pubblico che a sua volta tenta l’arrampicata verso il palco intimorendo, ma solo un po’, il povero John.
Siamo sicuri di aver partecipato a una serata magica, sicuramente indimenticabile per chi, come noi, ha deciso di rispondere alla chiamata di questo padrino dello stoner che, ripetiamo a costo di sembrarvi noiosi, continua a mantenere un fascino magnetico, sfoggiando una voce migliorata con il tempo. Un uomo e un perfomer che a differenza di molti colleghi bolliti non mostra mai la necessità di ostentare atteggiamenti da rockstar.
SETLIST:
Caterpillar March Rolling Stoned One Inch Man My Mind 5000 Miles The Blvd Gloria Lewis Flower El Rodeo Argleben Space Vato Saddleback 800 July All These Walls
Encore: Supa Scoopa And Mighty Scoop Green Machine Whitewater
Articolo del
01/12/2014 -
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