Sei mesi fa avevano infuocato la capitale con bordate soniche durante la presentazione della loro ultima fatica in studio 'Innocence'. Oggi, a distanza di sei mesi, ritornano alla grande per una seconda data, stiamo parlando dei tre fratelli Carney, in arte Pontiak, una band benedetta dal dio del rock che in Italia arriva sempre in forma impeccabile.
È la prima serata abbastanza fredda di quest’autunno tardivo e stavolta, a differenza di aprile scorso, c’è meno ressa ma comunque la sala del Circolo è abbastanza piena. Loro sono a cena e verso le 23.00, senza particolari clamori, salgono sul palco per dare un’ultima sistemata agli strumenti prima di partire per una devastazione in stile Attila flagello di Dio. Sono sempre magri, con le solite t-shirt bianche e meno capelli, quello che rimane intatto invece è il loro calore verso il pubblico, la disponibilità a farsi fotografare, a partecipare ai selfie delle fan ebbre, a stringere mani e firmare autografi come se non ci fosse un domani.
Alle 23.10 sono sul palco partendo lentamente per continuare con una serie corposa di punture piene di hard rock psichedelico. Le chitarre sono a chiare tinte sabbatiane all’inizio mentre successivamente i nostri allargano a dismisura la sezione psicotropa con ottimi. Il loro sound è tellurico, le strutture proteiformi e nonostante la solita acustica, non all’altezza sulle voci sepolte dal mixer, la band sconquassa le orecchie dei presenti in chiaro visibilio. Loro sono uno spettacolo per le orecchie ma soprattutto per gli occhi (dei fotografi), si muovono continuamente avanti e indietro sul palco gasando il pubblico mentre in particolar modo Van e la sua chitarra assumono posizioni da contorsionisti. La diavoletto erutta magma incandescente che misto al basso secco e preciso di Jennings e al drumming possente di Lain fanno letteralmente sussultare le pareti del Circolo. Spaziando a piene mani da tutti i loro dischi, Lion Of The Beast, The North Coast, Ghosts, Sorrounded By Diamonds tanto per citarne alcune, i Pontiak cercano un equilibrio fra parti di una violenza efferata e sezioni dilatate che farebbero la felicità dei primi, gelatinosi, Pink Floyd la cui materia cerebrale di Syd Barrett svaniva in maniera proporzionale all’abuso di acidi.
I Pontiak sono una band obliqua, imprevedibile, disegnano traiettorie melodiche spezzandole sul più bello in un gioco sadico. Poi, quando tutto sembra rallentare, ripartono con mazzate degne dell’ultraviolenza dei drughi di Kubrick. Se non fosse per il neo delle voci risucchiate dal solito buco nero del mixer si potrebbe dire di aver assistito a uno show perfetto.
Articolo del
24/10/2014 -
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