Ci voleva una location suggestiva per l’ultima data del tour europeo degli Elbow, la Cavea del Teatro Nuovo dell’Opera di Firenze, un’enorme scalinata che sembra salire direttamente verso la luna e dalla cui cima è possibile avere una vista straordinaria della città avvolta dal buio, ma probabilmente nessuno dei presenti ha prestato molta attenzione all’architettura, alla bellezza della vista alle proprie spalle o a qualsiasi altra cosa che non fosse il gruppo di Manchester approdato per la prima volta nella culla del rinascimento.
In apertura la forza tutta italiana dei Marta sui Tubi, ma la grande attesa ovviamente non è per loro, ma per gli headliner. Gli Elbow sono, e sono stati, una band purtroppo molto spesso sottovalutata e ignorata dal grande pubblico, soprattutto in Italia. E nonostante a una prima occhiata si possa essere ingannati, nonostante il successo del loro ultimo album The Take Off And Landing Of Everything, non è cambiato nulla. I sussurri eccitati tra il pubblico non sono in italiano, ma prevalentemente in inglese e quando Guy Garvey chiede quanti italiani ci siano tra il pubblico le mani che si alzano sono circa una ventina, di cui la metà più o meno fiorentini. Il resto del pubblico si divide per lo più tra turisti americani e fans inglesi.
E forse è anche merito di questa commistione, che fa sì di non sentirsi pienamente in Italia, che l’esibizione prende una piega conviviale da pub inglese, scanzonata e divertente. Non esiste un vero e proprio palco, ma le attrezzature sono poste direttamente sul fondo della Cavea il che vuol dire nessuna barriera, distanza o limite, solo un metro scarso tra la band e la prima fila. Ma del resto buona parte del concerto si svolge tra risate, brindisi e musica più sugli spalti che nella zona propriamente destinata alla band. Garvey è come al solito allegro e preferisce sedersi a chiacchierare in mezzo al pubblico, cantando e facendo cantare anche dei fans, piuttosto che starsene rinchiuso tra amplificatori e luci. E non si dice di no a un bicchiere di vino offerto dalla prima fila o a un sorso di birra gentilmente offerto da uno dei pochi fan italiani (che in compenso ha l’onore di cantare mentre Garvey è impegnato a bere). Gli altri membri della band sorridono sornioni e soddisfatti. E nonostante tutto, l’aria di intima condivisione, il divertimento, la vicinanza, a farla da padrone è la musica, che lascia a bocca aperta, che strega e porta via, facendo affiorare ricordi che il pubblico condivide silenziosamente e creandone di nuovi da custodire gelosamente.
Ma partiamo dall’inizio, ecco aleggiare nell’aria le note di Slow Moving Water che fanno da sottofondo all’entrata in scena della band e danno ufficialmente il via alle danze. A seguire la scaletta è fitta e una quindicina di canzoni volano letteralmente via in due ore di concerto. Ecco allora Chargé, Fly Boy Blue/Lunette, New York Morning, Real Life (Angel), My Sad Captains dal loro ultimo album, e poi ancora The Night Will Always Win, The Birds e Lippy Kids dal precedente “Build A Rocket Boys!”; e tornando ancora indietro The Loneliness Of A Tower Crane Driver, Mirrorball, Ground For Divorce, One Day Like This e The Bones Of You da “The Seldom Seen Kid”.
Ultimamente il trend è quello di pensare gli eventi in generale e i concerti in particolare come un’esperienza e per renderli memorabili si punta su effetti speciali, megaschermi, luci e tutto il possibile e immaginabile, ma in realtà il concerto degli Elbow è stata sì, un’esperienza, ma di tutt’altro tipo, una di quelle che si custodiscono gelosamente e non si dimenticano quando alla fine della serata le luci si accendono e il pubblico se ne va.
(La foto degli Elbow a Firenze è di Francesca Ferrari)
Articolo del
09/09/2014 -
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