Non ci sono mezze misure: o si ama Conor Oberst, la sua poliedrica genialità e i suoi multiformi e prolifici progetti, o lo si odia etichettandolo per un ragazzetto snob che crede di essere un artista. Questo è l’azzardo di invitarlo a un festival soprattutto in Italia. Mentre all’estero l’ex enfant prodige riempie arene ben più grandi - vedi ad esempio la sua data del 2013 sold out al Barbican di Londra - in Italia una venue come il Teatro Conchiglia, annesso alla struttura dell’Ex Convento dell’Annunziata di Sestri Levante, capace di ospitare a stento 400 persone, sembra già un azzardo. Ma lo staff del Mojotic si è impegnato nella formazione di una line up di ampio respiro ed elevata qualità anche sfidando un po’ la fortuna, ecco allora Jonathan Wilson, M. Ward, Anna Calvi e Steve Earle solo per citare alcuni nomi che hanno preso parte alla seconda edizione di questo festival ligure.
E ovviamente come gran finale lui, Conor Oberst, per la sua unica data italiana dopo sette anni di assenza, un album solista uscito lo scorso maggio da presentare e una backing band che probabilmente è una delle migliori che il musicista statunitense abbia mai avuto ad accompagnarlo: i Dawes. E sono proprio i Dawes – per la prima volta in Italia - a salire sul palco e sfidare oltre che un cielo nero di nubi poco rassicuranti, una platea ancora mezza vuota e in fervida attesa del leader dei Bright Eyes. Ma il brusio viene zittito ben presto dalla musica folk rock della band californiana e dalla loro diretta e schietta presenza sul palco che in poche canzoni riesce anche a far dimenticare il tempo avverso. La band, uscita con il suo terzo lavoro in studio, Stories Don’t End nell’aprile 2013, da maggio è in tour con Oberst sia come opening act, sia come backing band e infatti tra gli artisti sembra essersi creata una sincera armonia e complicità sul palco che si intuisce appena la band riappare dopo il proprio set disponendosi attorno all’headliner della serata.
Oberst appare vestito in maniera bohemien, tutto in nero e con un cappello a falde larghe che lo fa sembrare per contrasto molto più giovane dei suoi 34 anni. In tutto sono quasi due ore di concerto il cui il co-fondatore della Saddle Creek Records traccia attraverso le canzoni del suo primo album solista, Upside Down Mountains, uscito lo scorso 20 Maggio, la sua parabola folk rock, come già fece, seppur in misura diversa, Dylan in quel lontano 1965. Del resto dopo The People’s Key, ultima fatica discografica dei Bright Eyes, uscita nel 2011, Oberst aveva dichiarato che quello sarebbe stato l’ultimo album della band e nel 2012 aveva iniziato già un tour solista proponendo materiale pescato un po’ da tutti i suoi vari progetti (Bright Eyes, Mistic Valley Band e Monsters of Folk). Ma c’è poi tanta differenza tra un Conor Oberst solista o il solito musicista nascosto sotto altri nomi? Perché tanto alla fine dei conti il genio è indubbiamente lui. E lo dimostra anche sul palco, nonostante un cantato nervoso, a tratti strozzato e parlato, lo dimostra imbracciando la chitarra acustica o la chitarra elettrica o prendendo posto alla tastiera. Lo dimostra con liriche che parlano di solitudine, che parlano di extraterrestri, di politica come Old Soul Song, o di quanto sono inutili i festival (tutti tranne il Mojotic ovviamente!) come accade in Governor’s Ball. Accanto a lui, Taylor Goldsmith, chitarrista/cantante dei Dawes è perfettamente a suo agio, come solo mesi di palchi condivisi possono permettere, mentre Oberst piroetta per uno spazio probabilmente per lui un po’ piccolo, seguendo l’alternanza tra le ballate e gli spunti rock del suo bagaglio musicale.
Nella scaletta c’è praticamente tutto l’ultimo lavoro, e sarebbe strano se così non fosse vista la sua recente uscita, con il suo sapore folk, qualsiasi cosa questa parola voglia dire nel 2014. Ma fanno capolino anche We Are Nowhere And It’s Now, Old Soul Song, Not Another Travelling Song e Lua dal bagaglio – forse ormai un po’ troppo ingombrante – dei Bright Eyes. Il pubblico tenuto a distanza per tutto il concerto esplode raggiungendo il palco sul finale e trovandosi esattamente di fronte a Oberst e la sua band, talmente vicino che il songwriter alla fine abbraccia alcuni fortunati fans, prima di lasciare il palco.
Una chiusura da brividi con una toccante versione di Common Knowledge, dedicata all’attore Robin Williams, recentemente e prematuramente scomparso. Una serata dal sapore malinconico, come l’estate che sta finendo, come qualcosa che sta cambiando, e anche se le melodie vocali di Oberst ogni tanto si impennano, si perdono o si strozzano in gola, i Dawes hanno il merito di essere stati impeccabili dalla prima nota del loro set solista all’ultima nota di chiusura della serata.
Speriamo di non dover aspettare altri sette anni prima di poter rivedere Conor Oberst e speriamo soprattutto che i Dawes tornino presto a farsi sentire nella nostra penisola, perché senza dubbio sono stati una gradita, quanto inaspettata sorpresa.
(La foto di Conor Oberst & The Dawes a Sestri Levante è di Francesca Ferrari)
Articolo del
27/08/2014 -
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