Orsù, ci diciamo, ancora un ulteriore sforzo prima di andare a rinfrescare le nostre affaticate membra nelle limpide (?!?) acque del Mediterraneo; e in men che non si dica eccoci sulla spianata sabbiosa delle Capannelle, in attesa insieme a qualche altro migliaio di musicofili del Centro-Sud che inizi la terza ed ultima data italiana di questa intrigante accoppiata anglo-scozzese, atto conclusivo di una stagione concertistica, quella estiva, iniziata prima del solito – con il mega-evento degli Stones al Circo Massimo – e che fino a qui ha ci ha riservato parecchie (e alcune anche inattese) soddisfazioni. Per i Cribs non è una novità fare da supporto alla più quotata band scozzese: gli è capitato anzi spessissimo, fin dai tempi in cui il leader dei Franz, Alex Kapranos, produsse il loro terzo (e ad oggi miglior) album Men's Needs, Women's Needs, Whatever (2007). Ma il compito si rivela davvero ai limiti dell’improbo: suonare di fronte a un pubblico che per tre quarti ti conosce in maniera superficiale (o non ti ha mai sentito nemmeno nominare) non è di per sé facile, e se a questo aggiungiamo che lo stile del trio del West Yorkshire, grezzo e punkeggiante, mal si accosta con le raffinatezze rock-dance dei Franz Ferdinand, non deve sorprendere che i Cribs, nei 40 minuti loro assegnati, non riescano nell’intento di infuocare il parterre come avrebbero voluto e/o sono abituati a fare. Saliti sul palco puntuali allo scendere delle tenebre, i fratelli Ryan, Gary e Ross Jarman (accompagnati dal “tour guitarist” David Jones) sorprendono inizialmente per il fragore chitarristico delle loro canzoni, più noisy e meno strokesiane di quanto non risultino sui dischi. Purtroppo però il suono non è perfetto, tarato com’è sull’impianto dei Franz Ferdinand: dopo un paio di ceffoni ben assestati (le sempre splendide Hey Scenesters e Man’s Needs) inizia a farsi largo un po’ di noia, rotta solamente sul finale dall’apparizione di Lee Ranaldo in video (e in voce, naturalmente registrata) durante l’esecuzione dell’atmosferica e in parte sperimentale Be Safe, un pezzo a cui l’ex- Sonic Youth aveva ai tempi collaborato. D’altronde bisogna capirli, i Cribs, che sono visibilmente in una fase di transizione: terminata la collaborazione con il chitarrista “aggiunto” Johnny Marr (che aveva aumentato esponenzialmente il loro appeal), e dopo un deludente quinto album (In The Belly Of The Brazen Bull, 2012), si sono rifugiati nella pubblicazione di un disco antologico (Payola), scelta che equivale a mettere un punto al primo decennio di vita di una band che, in definitiva, non è mai riuscita a compiere il “grande salto” (quantomeno fuori dai confini del Regno Unito). Quel che è certo è che in futuro Ryan e Gary Jarman si dovranno inventare qualcosa che vada aldilà degli schemi, ormai decrepiti, della wave post-libertiniana. Staremo a vedere.
Per contro, quello dei Franz Ferdinand è un grandissimo show, diverse spanne al di sopra delle (nostre) aspettative. Finora, avendo saltato il concerto del 2009 sempre al Rock in Roma, li avevamo visti solo una volta, di supporto ai Depeche Mode nel 2006, ma si era trattato di un set brevissimo (e per di più, alla luce del sole con una temperatura che sfiorava i 40°) che li aveva resi, di fatto, ingiudicabili. Stavolta invece, a Capannelle, ci sono sembrati una macchina da guerra, e il tabellino parla chiaro: 21 canzoni per quasi due ore di concerto che sono passate in un lampo (cosa che non accade spesso), senza un minimo dubbio, un’incertezza o un momento di pausa. Senza nulla voler togliere a Bob Hardy (basso), Nick McCarthy (chitarra ritmica e tastiere) e Paul Thomson (batteria), il motivo per cui i Franz Ferdinand possiedono una resa “live” superiore alla media ha un solo nome, Alex, e cognome, Kapranos. Che oggi ha da poco superato i 42 anni – lo abbiamo appena controllato su Wikipedia – ma che per voglia, energia e pathos ne dimostra al massimo una trentina. Kapranos è un performer nato, un “naturale”, e vederlo muovere in scena – “usare il palco” in lungo e in largo come è giusto che sia – è una boccata d’aria fresca dopo le tante, troppe statiche mezze figure – pur ottimi musicisti – che ci siamo trovati di fronte nel corso di questa lunga stagione estiva. Ed è anche in grande forma vocale, il che non guasta. Per molti versi, il frontman anglo-greco è un performer vecchio stile: ogni sua movenza (i salti, i “scissor kicks”, le schitarrate alla Townshend) è stata chiaramente provata e riprovata mille volte, ogni introduzione di canzone e/o frase rivolta al pubblico è studiata per ottenere il massimo impatto, qui a Roma come, per fare un esempio, a Miami. Una mancanza di spontaneità che tuttavia non emerge affatto, perché quella capacità di domare o scatenare il pubblico in una costante altalena di emozioni ce l’hanno – evidentemente - in pochi. Aiuta, poi, anche una scaletta di tutto rispetto, in cui i FF fanno una sapiente spola tra canzoni ballabili, pezzi più rockeggianti e raffinate torch-songs. In particolare – e rispetto a tante altre band a loro coeve – i Franz Ferdinand hanno infilato almeno un paio di album, l’esordio (2004) e il secondo You Could Have It So Much Better (2005), che tutti hanno sentito e amato (se non adorato), e che comunque conoscono a memoria, a meno di non aver vissuto in una caverna durante gli ultimi due lustri. Se No You Girls (da Tonight del 2009) dà una prima svegliata a un pubblico ancora ottenebrato dalla lunga attesa e dal set dei Cribs, le vere esplosioni di entusiasmo arrivano con i brani tratti dai suddetti due dischi: The Dark Of The Matinée, Tell Her Tonight, The Fallen, Do You Wanna, Walk Away, Auf Achse, Michael, Take Me Out, Outsiders… C’è poco da fare, il grosso di un concerto dei Franz Ferdinand è (ancora) basato su quelle canzoni, ossia sulla geniale trovata che Kapranos & Co. ebbero nei primi anni del Millennio, di rivisitare – modernizzandola e con l’aggiunta di qualche elemento Glam – la funky wave dei gruppi scozzesi dei primi anni Ottanta, nomi che negli anni erano rimasto di culto o poco più come Orange Juice, Josef K e Fire Engines. In mezzo a tutto questo ben di Dio, non sfigurano nemmeno i brani più recenti, con una particolare menzione per la robusta Bullet, uno dei singoli tratti dall’ultimo album Right Thoughts, Right Words, Right Action. E’ un treno in corsa, quello dei Franz Ferdinand, che giunge in stazione solo con l’ultima canzone del set, quella Outsiders che è un altro ottimo esempio di quella funky-wave di cui si parlava sopra, durante la quale ha luogo un siparietto con tutti i membri della band assembrati intorno a Paul Thompson impegnati a percuotere, a vario titolo piatti grancassa e tom. Dopo qualche minuto, come di prammatica, i Franz tornano in scena per i bis: la recente Fresh Strawberries, troppo melensa per i nostri gusti, viene subito bilanciata da un altro magistrale pezzo “classico” come Jacqueline. E Goodbye Lovers And Friends, che chiudeva con toni melodrammatici Right Thoughts, Right Words, Right Action, per fortuna qui non è l’ultimo pezzo - sarebbe banale e scontato – dato che le fa seguito una travolgente This Fire della durata di cinque e passa minuti, mille volte più potente e più “a fuoco” dell’originale, con tutti e 5.000 gli spettatori in piedi a gridare fomentati da Alex Kapranos: “We’re gonna burn this city!”
Degno finale incendiario ed epilogo perfetto, sia per il concerto dei Franz Ferdinand che per la rassegna Rock in Roma 2014: un successone, stando a quel che si dice con circa 200.000 presenze complessive, e band del calibro di Queens Of The Stone Age, Arcade Fire, Black Keys, Metallica, Editors, Placebo e, dulcis in fundo, Alex Kapranos & Co. E’ stato un piacere, ma adesso tutti al mare e… see you next year!
SETLIST:
No You Girls The Dark Of The Matinée Right Action Tell Her Tonight Evil Eye The Fallen Do You Want To Walk Away Stand On The Horizon Can't Stop Feeling Auf Achse Bullet Michael Take Me Out Love Illumination Ulysses Outsiders
ENCORE: Fresh Strawberries Jacqueline Goodbye Lovers & Friends This Fire
Articolo del
09/08/2014 -
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