Le ultime due incursioni romane dei Massive Attack nel 2008 e 2006 avevano entrambe avuto luogo nella polverosa arena dell’Ippodromo di Capannelle, poco consona a nostro avviso a un “collettivo” (ammesso che abbia senso nel 2014 questa vetusta definizione inventata negli anni Novanta), quello di Bristol, il cui impatto risulta ottimale soprattutto nell’ambito edonista di un club o nella quiete della propria casa. Azzeccata, pertanto, è apparsa la scelta di farli suonare, questa volta, all’interno della rassegna Luglio suona bene nella rinnovata Cavea dell’Auditorium. La serata prometteva seggioline comode e numerate, un sound system pressoché perfetto e una scaletta da greatest hits, dato che i Massive sono giunti a questo appuntamento (come alle altre date del loro giro europeo) in maniera anomala, senza avere del materiale nuovo da promuovere.
Promesse che alla fine sono state più o meno rispettate, anche se – nonostante il quasi-sold-out - non si è trattato affatto di un trionfo a tutto tondo, per via delle tante contraddizioni insite in un live dei Massive Attack. Primo problema: la mancanza di spontaneità, dovuta al fatto che il set, per necessità, deve essere totalmente preprogrammato in anticipo. Così, per lunghi tratti, si è avuta l’impressione di assistere a una sorta di preview di quello che ci attenderà lunedì 14, sempre a questa stessa Cavea, con lo show dei Kraftwerk. Ma loro, si sa, sono “robots”, e l’organizzazione teutonica fa, in fondo, parte dello spettacolo. Dai Massive Attack invece è forse lecito attendersi qualcosa di diverso, quantomeno qualche estemporanea variazione sul tema. Secondo problema (ma lo si sapeva già): nessuno di loro è in grado (neanche alla lontana) di creare un qualche rapporto con il pubblico. Il fulcro creativo è e resta Robert Del Naja, che solitamente se ne sta in seconda fila a suonare le tastiere e a smanettare con sampler e sequencer. Daddy G è poco presente (appare solo verso il finale), il “vecchio saggio” giamaicano Horace Andy arriva a fronte palco in un paio d’occasioni e basta e, di base, il compito di creare un po’ di movimento “on stage” è lasciato sul groppone delle due vocalist Martina Topley-Bird e Deborah Miller, che però oltre a cantare e scuotere le anche non fanno molto altro. A fare scena dovrebbero essere le visuals proiettate sullo schermo alle spalle dei musicanti, che però stasera, per vari motivi, non ottengono lo stesso impatto che potevano avere qualche anno fa. Tanto per cominciare, perché (nonostante siano passati sei anni) sono le stesse identiche del 2008, con solo qualche minimo update: numeri digitali sparati random, loghi di multinazionali, notizie ANSA di giornata nazionali e internazionali e tutta la retorica anticapitalista che il Del Naja & Co. promuovono più o meno dai tempi di Blue Lines (1991). Il fatto è che stavolta i loro “messaggi” sembrano avere un effetto di sottrazione – e di “distrazione” - nei confronti dei beats e delle melodie, piuttosto che quello di aggiungere un (talora sano) elemento di “food for thought” (come avrebbero detto i loro connazionali UB40) ai loro pezzi. Sparare le dichiarazioni disperate dei detenuti di Guantamamo Bay durante una vertiginosa, magnifica Unfinished Symphony non ha molto senso, e, soprattutto, non ha alcuna connessione né diretta né indiretta con il significato vero, intimo, della canzone. Tanto più che i tempi sono cambiati rispetto a quando gli USA invadevano l’Iraq, e oggi è piuttosto la crisi economica a far penare (ci potremmo scommettere) il 90% delle persone presenti in platea e in tribuna. L’impressione, insomma, è che Del Naja e soci ci abbiano rifilato uno show un po’ “vecchio”, perlomeno dal punto di vista dei contenuti subliminali, e che andrebbe decisamente aggiornato al più presto.
Tutto questo senza togliere nulla alla qualità del concerto, perché – in fondo – volevamo il meglio dei Massive Attack e quello abbiamo avuto, con un livello di sound che a tratti ha rasentato l’alta fedeltà. Inertia Creeps è stata potente, Teardrop (come al solito) emozionante, Unfinished Symphony, come da titolo, una vera sinfonia dell’anima. Certo, Martina Topley-Bird non è Elizabeth Fraser (ma lo sapevamo già), Daddy G poteva essere più presente e per qualche motivo Karmacoma è stata omessa dalla scaletta. Ma poco conta, perché i Massive Attack sono e restano intoccabili. Sono uno dei gruppi (pardon: collettivi...) più importanti e più “seminali” dell’ultimo quarto di secolo, e questo nulla e nessuno glielo potrà mai levare. Senza considerare che i loro sono brani che hanno segnato la vita di migliaia (o forse di milioni) di persone: in questo senso, l’ovazione con conseguente bagno di folla riservati all’anglo-napoletano Del Naja sul finale sono apparsi quanto mai simbolici, e assolutamente meritati.
SETLIST:
Battlebox 001 United Snakes Risingson Paradise Circus Girl I Love You Psyche Future Proof Teardrop Angel Jupiter Safe From Harm Inertia Creeps
Encore: Everywhen Splitting The Atom Unfinished Symphony
Articolo del
13/07/2014 -
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