Ci eravamo galvanizzati con il penultimo Echo Ono, tanto da correre al Circolo degli Artisti per vederli in azione. Oggi dopo il convincente Innocence i tre fratelli sono tornati sul luogo del delitto. Li aspettavamo al varco, ma prima di loro in apertura ci sono gli energici Rubbish Factory. Mischiano rock, ritmi danzerecci, sonore mazzate hard e una dinamicità che ti costringe a muovere il culo e battere i piedi. Il loro show scivola via veloce e potente. È una piacevole sorpresa. Sono in due, batteria sulla destra e chitarrista sul lato opposto. Sono affiatati, si muovono come un ingranaggio ben oliato che non conosce inceppamenti. Promossi senza remore.
Alle 23.20 i Pontiak sono sul palco, dopo una veloce accordata alla chitarra, Van esordisce con ”Fuckin’ yes, this is Sambuca” mandando giù d’un fiato lo shot che tiene in mano. Ottimo, cominciamo alla grande. Qualche sguardo d’intesa, chitarre pronte a ruggire e dopo il terzo colpo di bacchetta arriva il primo sisma che scuote la sala dalle fondamenta. Sono in forma smagliante, si capisce sin dalle prime note. Asciutti e potenti, sparano riff psichedelici irrobustiti da inserti hard rock e poche note tiratissime durante gli assoli. Van Carney è incontenibile: si contorce, cammina all’indietro si piega su se stesso mentre effettua un bending parossistico tutto per la gioia dei presenti. Il fumo sul palco nega agli occhi la possibilità di mettere a fuoco i dettagli rendendo l’atmosfera ancora più magica. Si parte con Ghosts, seguita dall’altrettanto infernale Shining per arrivare alla policromatica ballad Expanding Sky, vera delizia e crogiolo di emozioni multiple. Il pubblico è prigioniero della band, ne subisce il fascino come in un’appagante sindrome di Stoccolma. Intanto se il cuore è felice, ma non del tutto pago perché di ascoltarli non se ne ha mai abbastanza, stomaco e orecchie sono messe a dura prova dalla bordate soniche del power trio. I criminali sonici, che omaggiano in due occasioni gli Stooges, danno fondo alla scaletta pescando a piene mani dal passato e dal presente. In ordine scorrono White Hands, Royal Colors e It’s The Greatest, per citarne alcune. Ma è con il trittico finale Innocence, Lions Of Least e Beings Of The Rarest che a momenti viene giù tutto. La loro energia s’incanala nei riff e nelle legnate della sezione ritmica a opera di Jennings e Lain impegnati anche ai cori. Rallentamenti e improvvise ripartenze deflagrano provocando danni irreversibili. Loro sono carichi come una balestra, ringraziano mentre noi abbiamo un sorriso demente stampato in modo indelebile sul volto.
L’esibizione è stata superiore a quella di due anni fa e di gran lunga oltre le aspettative. Li attendiamo fuori con il vinile da autografare, loro sono prodighi di parole, regalano plettri e si lasciano fotografare. Infine vedere Van, con le mani occupate da una birra e una sambuca, intento a decidere quale delle due cose ingurgitare prima è davvero un gran divertimento. Dilaniato dalla difficile decisione da prendere (dare precedenza alla sambuca o alla birra?) opta per un sano mix delle due cose in un unico bicchiere e manda giù come se non ci fosse un domani.
Voto concerto 9, voto band 9.5, voto a Van Carney 10 +. (P.S.: il concerto si sentiva benissimo, questa volta).
SETLIST:
Ghosts Shining Shell Skull Surrounded By Diamonds Part III We’ve got it Wrong Layaway Expanding Sky White Hands Royal Colors It’s The Greatest Lack Luster Rush Innocence Lions Of Least Beings Of The Rarest
Encore: The North Coast Left With Lights
Articolo del
14/04/2014 -
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