E’ stato un recital, intimo e raffinato, dove le parole e la musica si sovrapponevano senza mai rubarsi spazio. Claudio Lolli, 64 anni, cantautore bolognese, da tempo ormai residente a Roma, ha scritto delle pagine bellissime nella storia della musica italiana. E’ stato sempre fedele a se stesso, non si è mai venduto a nessuna moda culturale, non ha mai cercato scorciatoie per il successo commerciale. Ciò nonostante le sue canzoni sono diventate patrimonio di tutti, in particolare per quanti hanno vissuto la stagione degli anni Settanta.
Claudio Lolli si presenta sul palco del Teatro Studio insieme a due dei suoi più fedeli compagni di viaggio, musicisti che rispondono ai nomi di Nicola Alesini, ai fiati e di Paolo Capodacqua, alla chitarra. Inizialmente il professore Claudio Lolli (sì, è stato questo il suo vero mestiere, perché “con l’arte non si mangia” direbbe lui) legge testi tratti da un libro con le sue canzoni e si intrattiene amabilmente con il pubblico che affolla il Teatro Studio, consapevole della grande occasione di poterlo riascoltare in concerto. “Vi parlerò di Amore e di Morte” esordisce “D’altra parte di cosa vogliamo parlare? Della As Roma che ha vinto pure oggi pomeriggio e ci ha fatto felici?” Si comincia con lo spoken word bellissimo tratto da Disoccupate le strade dai sogni, accompagnato sapientemente dal sax di Nicola Alesini, subito seguito da Frequenze, che non sono soltanto quelle delle prime radio libere, che animarono le lotte dei primi anni Settanta, ma anche le frequenze del cuore quelle che regolano i battiti di un amore, una cosa eversiva al giorno d’oggi, che spaventa e da cui scappiamo spesso e volentieri. Il Potere è stato sempre il bersaglio preferito delle canzoni di Claudio Lolli, che si è battuto con i suoi mezzi per limitarlo e/o sconfiggerlo. “Il vero potere non si sconfigge con la bocca di un fucile, come diceva Mao” riflette amaramente Lolli “ma soltanto attraverso le parola, la comunicazione. E purtroppo la storia degli ultimi venti anni ci ha insegnato che è proprio così”. Claudio Lolli esegue anche Quello che mi resta un brano del 1972, scritto quando aveva appena 16 anni. Non ha rimpianti, il poeta Claudio, il professor Lolli. Continua a parlare di Utopia “Non importa che non siano state raggiunte, quello che conta è stato, ed è ancora oggi, viaggiare in quella direzione”. Simpatizza per Vendola, l’unico che mette il cuore dentro il ragionamento politico e ricorda i giorni dl Folk Studio, a Roma e si commuove quando pronuncia il nome di Giancarlo Cesaroni, il gestore di quel locale underground, un manager diverso, che reclutava soltanto artisti che avevano qualcosa di importante da dire. Ironizza sul suo soprannome di “cantante triste” e sui paragoni con Leopardi, ricorda l’amicizia con Francesco De Gregori, preferisce sorvolare sull’altro grande nome che si è formato al Folk Studio, del quale dice solo “anche lui è un tifoso della As Roma..." Esegue Carte da decifrare, un omaggio a Piero Ciampi, che fu un grande poeta e cantautore livornese. Molto divertente il racconto della sua adolescenza a Bologna, una città bellissima e culturalmente viva “solo che a meno di 100 chilometri di distanza c’era Rimini, la spiaggia, le ragazze, le discoteche, il divertimento” continua Lolli “E i miei genitori avevano comprato una casa lì. Mi ci volevano portare tutti i fine settimana. “Che ci stai a fare sempre chiuso a casa?” mi dicevano ed io invece ero sempre chino sui testi di Marx o sui racconti di Kafka”. Ancora un ricordo, per il padre, con il quale non aveva mai avuto un grande rapporto, se non al momento della sua malattia, che lo aveva reso più fragile, più comunicativo. E’ a lui che dedica una versione molto toccante di Quando la Morte avrà. Poi Claudio Lolli riprende a parlare della sua città, Bologna, in particolare di Piazza Maggiore, come era allora, l’attuazione concreta del concetto di “agorà”, che in greco significa piazza, intesa però come luogo di incontro, di parola, di intrattenimento, di arte e di felicità. A quel punto le note della chitarra acustica di Paolo Capodacqua eseguono Ho visto anche gli zingari felici ed è visibile il fremito che attraversa il pubblico presente in sala. Sono in molti che vorrebbero ascoltare altri vecchi classici, ancora altri brani storici. Le richieste si sommano: Aspettando Godot, Michel, Angoscia Metropolitana… ma nessuno degli spettatori riesce a prevedere il brano che Claudio Lolli va a ripescare dal suo importante e prezioso passato. Infatti il “cantante triste” saluta tutti con Borghesia e quando arriva il momento della strofa finale, quella più attesa, Lolli dimostra tutta la sua intelligenza e profonda autoironia : dopo aver intonato “Vecchia piccola borghesia / un giorno…” si interrompe e aggiunge perplesso “forse, magari, eventualmente…..il Vento ti spazzerà via”.
Una lezione di letteratura, un momento di poesia, di storia rivissuto attraverso la canzone d’autore. Succede molto raramente, credetemi.
Articolo del
11/04/2014 -
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