Atteso come un appuntamento immancabile, torna in Italia Peter Murphy, frontman dei Bauhaus, band mito del dark-goth dei primi anni ’80 che dal 22 aprile è partito con il “Mr. Moonlight Tour – Celebrating 35 Years of Bauhaus”, ovvero un tour mondiale nel quale ripercorrerà 35 anni di storia dei suoi Bauhaus. In Italia due le date: Roma 26 maggio all'Orion, che mi accingo a raccontarvi, e Milano 27 maggio ai Magazzini Generali.
Ad accoglierlo una vera folla di appassionati che hanno gremito l’Orion fin dall’apertura dei cancelli. Poco dopo le ore 21, come da programma, salgono sul palco i Bohémien, band romana che come gruppo spalla avrà l’arduo compito di intrattenere il pubblico e in un certo senso introdurre alle atmosfere goth che si vivranno più tardi con l’ospite della serata. Un opening di circa 45-50 minuti composto da diversi brani intensi e con grande presenza scenica soprattutto del frontman, un mix di cantautorato italiano con venature new wave. Il tutto ampiamente gradito dal pubblico che evidentemente li conosce (sulla scena dal 1985) e apprezza il loro ultimo lavoro omonimo uscito a febbraio 2013.
Al termine della loro esibizione come di consueto c’è molto lavoro sul palco per spostare e allestire la strumentazione della band di Murphy, e mentre il batterista comincia a prendere posto (e misure), munita di microfono appare Wendy, la roscia addetta stampa che annuncia a tutti che Peter vuol fare una sorpresa ai suoi fan. Ci svela che è appena terminata la registrazione (alla quale ha preso parte Jaz Coleman dei Killing Joke) del nuovo album di Murphy, che si intitola Lion e uscirà in autunno, e in anteprima assoluta ci lasceranno ascoltare una preview di cinque tracce in attesa di ultimare la preparazione del palco e di iniziare il concerto.
Finalmente, intorno alle 22,30, sale sul palco lui, “The Godfather of Goth”: giacca nera con collo ornato di piume di struzzo, pantaloni gessati grigio fumo. Serio, concentrato, non sposta un ciglio neanche quando il pubblico lo accoglie calorosamente urlando e applaudendo. Lui, imperterrito, sguardo al di sopra di tutto, apre il concerto con King Volcano. Ci vorranno un paio di canzoni prima che si sciolga un po’ e tiri fuori la sua verve interpretativa e la passione. Ma ci si rende subito conto che è in grande forma. All’ombra dei suoi 56 anni, il suo fisico ancora abbastanza asciutto (certo non è più tempo di esibizioni a torso nudo come usava fare agli esordi), il viso scavato e gli occhi profondi, riesce ad incantare ancora e a togliere il fiato, a creare l’atmosfera più dark possibile in un’epoca in cui questo genere è quasi di nicchia. Durante lo spettacolo si alterna tra il fronte del palco e qualche piccola coreografia al centro e intorno ai musicisti che lo accompagnano (Mark Gemini Thwaite alla chitarra, Jeff Schartoff al basso e al violino, e un instancabile Nick Lucero alla batteria). Imbraccia la chitarra acustica dodici corde, poi quella elettrica; poi l’immancabile melodica (ovvero quella tastierina che si suona a fiato) e, novità del tour, una lampada al neon che ha usato per illuminare se stesso e i suoi compagni in alcuni brani. Già, perché l’illuminazione era davvero poca, led o rossi o blu, niente fari bianchi su di lui o sul palco. Il tutto ha contribuito a rendere l’ambiente ancora più raccolto nonostante le note rock e i ritmi serrati e pressanti di brani come In The Flat Field o Dark Entries o Telegram Sam (cover dei T.Rex), che hanno ceduto spesso il passo a brani dal suono più introspettivo, quasi da trance, come She’s In Parties, A Strange Kind Of Love o l’infinita Bela Lugosi’s Dead, vero grandioso successo simbolo dei Bauhaus.
Nella parte finale, dopo aver trascorso tre quarti di concerto in maniche di camicia, per poi indossare anche un giubbino in pelle aderente (specialmente durante una esibizione molto sinuosa sul bordo del palco con diverse mani alzate protese verso di lui fino a sfiorarlo alla cinta), ecco che davanti al leggio che sostiene un computer e davanti alla tastiera Peter che inforca gli occhiali da vista! Un vero tocco di eleganza! Difficile riportare la scaletta completa dato che è stata diversa da quella degli ultimi tre concerti della scorsa settimana, e soprattutto diversa anche da quella che era ai piedi dei musicisti sul palco, probabilmente rimaneggiata durante il live. In ordine sparso, oltre alle canzoni già citate, non sono mancate The Passion Of Lovers, Double Dare, Silent Hedges, Stygmata Martyr, God In An Alcove, e in un bis richiestissimo a gran voce da tutto il pubblico, Ziggy Stardust (cover di D. Bowie) a chiusura di due ore intense di musica e atmosfera.
Come già detto, un Peter Murphy in grandissima forma, forse meno chiacchierone che nell’ultima esibizione dell’anno scorso ma più concentrato sulla musica, sull’interpretazione, sull’enfasi delle parole associate al linguaggio del corpo, quasi come in un’esibizione teatrale. Il Mr. Moonlight Tour continua e a noi non resta che attendere l’autunno per ascoltare e valutare la sua ultima (almeno cronologicamente) prova da solista. Mentre lui, prima di scappare in sordina dalla porta sul retro, sempre restio al contatto col pubblico, si ferma proprio pochissimi minuti per qualche autografo e poi fugge nel pullman.
Articolo del
28/05/2013 -
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