Si era sparsa la voce verso fine novembre: Aphex Twin a Capodanno, all’EUR, a Roma!! Inizialmente abbiamo dubitato, ricordando l’annullamento di una precedente data di Aphex, nel dicembre 2007, con uno strano comportamento da parte dell’amministrazione comunale del tempo sull’uso della ex-Fiera di Roma. Perciò appena Evilsound ufficializza la data, con tanto di espliciti riferimenti istituzionali nel lancio (nuova amministrazione comunale: chi l’avrebbe mai detto?), ci siamo catapultati, immaginando una nottata imperdibile: RephlexEve al Palazzo dei Congressi di Roma, per festeggiare il definitivo passaggio di decennio del secondo millennio in compagnia dei suoni provenienti dalla fantasmatica etichetta Rephlex! E così, possiamo anticipare, effettivamente è stata!
Appena scoccata e festeggiata la mezzanotte, come post-moderne Cenerentole a ritroso, attraversiamo una Roma che troviamo stranamente deserta, mentre temevamo di rimanere imbottigliati sul Lungotevere, o alla disperata ricerca di un parcheggio tra i molti locali dell’EUR: nulla di tutto ciò; capodanno di austerity? Arriviamo intorno all’una, con la sala piena per due terzi, lo schermo gigante che manda figure tridimensionali in sequenza, mentre il capellone dinoccolato DMX Krew è sul palco, alla destra della consolle principale, e ci riempie di bassi, a volte tribali, altre electro-industrial, tra abbozzi vocali digitalizzati e suoni vintage: un mix che sembra perfettamente trasportato dal titolo del recente lavoro con etichetta Rephlex (appunto): Wave Funk! Quindi ci aspetta un quarto d’ora di chiusura del set, dove i campionamenti vocali scompaiono, virando da una base funk a una cassa dritta e splendidamente abbondante. Siamo ai riscaldamenti, ma lo sterno vibra squarciato dai bassi di un impianto audio eccellente, mentre intorno le moltitudini danzanti cominciano ad abbandonarsi al flusso elettronico, sotto fasci di luce cangianti. Verso l’una e mezzo sale sul lato sinistro del palco la testa rasata di DJ Rephlex, aka Grant-Wilson Claridge, purtroppo sottovalutato dal pubblico già in attesa adorante di Aphex. Ci regala invece un set sicuramente con meno luci e lustrini del precedente, ma causticamente cupo e avvolgente. È una sorta di oscuro e ipnotico precipitare in loop ancestrali e battiti sempre più concitati: campionamenti multistratificati e BPM che aumentano vertiginosamente, tra un dark breakbeat e una drum’n’bass da rito iniziatico: uno Squarepusher su vinile, ma meno cerebrale.
Quindi la sala precipita nel buio. Abbiamo intravisto l’ospite principale sgattaiolare da solo dietro al palco, con la sua giacca a vento in mano: ora la sagoma di Richard D. James, aka Aphex Twin, o AFX, col suo solito capello lungo e riga in mezzo, pizzetto e ghigno da timido nerd satanico, si staglia sull’altare-consolle principale, con alle spalle lo schermo che vira in grigio, mentre si accendono altri tre schermi più piccoli ai piedi del palco. Fasci di luce glaciale fendono il nero della sala, mentre le immagini ci trasmettono panorami desertificati, giri vorticosi tra montagne e laghi di un pianeta sconosciuto, col simbolo di Aphex che sembra piombare come una navicella spaziale, proveniente da altri mondi sconosciuti. C’è un groove di batteria quasi funk a introdurci, quindi una voce campionata, che sembra teletrasportata da un enclave Kraftwerk, nel vuoto nero, magmatico e siderale. Ma dopo una decina abbondante di minuti l’atmosfera cambia: i beat aumentano, precipitando in vortici digitali, le luci, verdi, rosse, azzurre invadono la dancehall, oramai bella zeppa di ballerini di tutte le età e le attitudini, non dimenticando che è Capodanno: dal pischello piercing e giubbetto, al gruppetto di invasati a torso nudo, da ragazzine col cappellino da baseball, a riot girls sottokassa, da “precisi” in camicia bianca, a fanciulle in tiro, con vestito da sera, fino a immancabili dropout, affinità elettive del genio dietro la consolle. E le immagini sugli schermi rimandano questi volti, in presa diretta, trattati con il morfing, virati in negativo, scomposti e poi “mascherati” con il volto modificato di Aphex; intorno laser verdi e ora rossi, tridimensionali, come tunnel luminescenti, in cui è facile perdersi. È una meraviglia, ma appunto, ci si perde, almeno nel racconto, immersi in un suono che intreccia battiti sincopati, bassi profondi ed elettronica a tratti sinfonica. Il flusso sonoro ci spinge nelle prime file, proprio mentre il genietto dietro la consolle attacca i primi battiti destrutturati di Windowlicker, che verso la metà si trasforma in una splendida sinfonia di bassi distorti e battiti infernali: braccia alzate verso il cielo, movimenti forsennati, pressione empatica tra le migliaia che ora riempiono la sala: è l’inizio del delirio in cui precipitiamo senza salvezza. Possiamo solo raccontare di una pausa ambient che rilassa i corpi e gli occhi nel buio squarciato da laser discreti, in compagnia di Arpanet, probabilmente, ma non ne siamo così sicuri; quindi accenni a sonorità affini al progetto The Tuss; poi un pezzo si chiude brutalmente e una breve pausa che apre la seconda parte del set: avvio sinfonico e poi batteria in crescendo, con tappeto di tastiere (sembra organo!) alternato a caterve di beat che inseguono l’un l’altro, deliziando orecchie e gambe. È la parte centrale e probabilmente quella massimamente sconvolgente: ecco le tastiere di Vordhosbn che fanno capolino, in una versione completamente decostruita, lacerante, schizoide e poetica, che chiama il delirio assoluto sotto il palco. Urla, salti, discese in stati di trance, movenze da pogo dopo l’epica rave: è questo che i fedeli della notte elettronica vogliono e l’officiante Aphex Twin è qui per noi, fino a sfiancarci. Una voce campionata ci introduce nella parentesi drum’n’bass/jungle, che vira in una sorta di drill’n’bass, alternato a una cassa dritta ipertechno, il tutto in un tappeto industriale, cavernoso, rumoristico, ancestrale e post-moderno al contempo. È un vortice che ci spinge verso la chiusura di un set non lunghissimo (ci accorgeremo di stare abbondantemente sotto le due ore), ma che precipita in svariati minuti finali deliranti, di rumore assoluto, mani aperte, adoranti, corpi squassati e urla invasate, sull’orlo della follia.
Aphex chiude probabilmente troppo presto, sebbene siano le 4 passate e le prime file ancora reclamano onde sonore, con l’inventiva che le contraddistingue: chi invocando la pazzia di Aphex e la nostra, altri urlando “vogliamo via Gradoli!”, cortocircuitando così una delle più note vie romane della recente, oscura, storia repubblicana, con il celebre video di Windowlicker. Ma Aphex Twin scende le scale e se ne va: di nero vestito, completamente da solo, così come era arrivato, sotto le luci al neon del retro palco. Mentre sul palco sale Lory D, in forma smagliante, cappellino in testa e sorriso aperto: riverberi, loop, cassa dritta, campionamenti e fomenti che continuano. La nostra, oramai datata, resistenza ci costringe ad abbandonare il campo: esausti, devastati e appagati, consapevoli che abbiamo assistito ad una performance esaltante e distruttiva, sperando che sia di ottimo auspicio per il decennio appena inaugurato, in cui si spera anche che Aphex Twin dia alle stampe almeno alcuni dei sei lavori, che ha recentemente ammesso di avere già pronti. Melodies From Mars...
Line up: RSX e D’Arcangelo in apertura h 24.00 DMX Krew h 1,30 DJ Rephlex h 2.30 Aphex Twin h. 4.10 Lory D in chiusura: Max Durante
Articolo del
05/01/2011 -
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