I romani Dirtyfake - visti in azione come spalla dei Kid Congo and The Pink Monkey Birds, approdati negli States con il singolo ”See My Dreams”, tratto da un EP precedente, apprezzati e trasmessi in molte radio rock e indipendenti italiane – presentano il loro primo full-length autoprodotto, impreziosito da numerose collaborazioni “di peso” (Fabio Recchia, Madame Lingerie, Serena Pedullà). Byron, Andy, Valentina, Kris e Simone portano avanti un progetto musicale molto particolare, ispirato dal “situazionismo” dell’intellettuale francese Guy Debord. Debord, uno dei personaggi di riferimento del ’68 francese, fortemente influenzato dai concetti marxisti di alienazione e reificazione e dall’arte surrealista, propone sostanzialmente un concetto “negativo” dell’arte, connotandola come un qualcosa che cristallizza e blocca il naturale scorrere della vita, e vede lo spettacolo come un insieme di dinamiche sociali tradotto in immagini. A voler ben guardare, se c’è un filo conduttore nelle tematiche della band, questo sembra essere proprio la solitudine di chi non riesce a entrare nel gioco, pur essendo costretto, per il solo fatto di esistere, a parteciparvi. Il decennio di riferimento, musicalmente parlando, è quello dell’esistenzialismo e dell’inquietudine per antonomasia, i ’90, e infatti i Dirtyfake citano tra le loro influenze non solo Nirvana e Radiohead, ma anche artisti meno conosciuti, ma ugualmente rappresentativi, come Slint e The God Machine (e un po’ Siouxsie and the Banshees, aggiungiamo noi). ”TumorRow” (notare il gioco di “crasi” delle parole che ritorna anche nei titoli delle track – allusione al fatto che le cose non sono mai univoche e inequivocabili?) è un concentrato di psichedelia noise e amarezza grunge, convogliate da un’enigmatica voce alla Thom Yorke, uniforme e ipnotizzante (come in ”AlieNation”). L’opener ”My Indiecation” è una cascata di chitarre rutilanti, dal suono ora aggressivo e ora cristallino e leggero. Segue l’accattivante ”Glampire”, la più riconducibile ai Cure post-Disintegration. A questa apertura dalle sonorità glam segue la vera anima dell’album, ”Hollywould”: rock carico di sottile malinconia e un inequivocabile messaggio di disillusione, riconducibile alla falsità e all’apparenza dello spettacolo “debordiano” che recitiamo quotidianamente. All’esplosione del riff arrabbiato di ”Plumfake” segue una fase dark e atmosferica con ”Esc(ape)”, “Heaven’t” e ”Myhisteric”.Per risentire le chitarre incalzanti bisogna attendere la chiusura con ”Code-in”. Concept interessante, idee tutt’altro che banali, liriche dirette e avvelenate. Non è musica da prendere alla leggera, questo è sicuro. Manca ancora qualcosa di indefinibile, forse solo un po’ di grinta in più, per graffiare veramente.
Articolo del
01/01/2011 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|