Il nuovo disco di Gianluca D’Ingecco, in arte D.In.Ge.Cc.O, sembra un viaggio nell’iper-uranio, un tunnel spazio tempo dentro cui perdere ogni etichetta possibile e dentro cui lasciarsi guidare da una deriva esistenziale ed emotiva. Ma è sempre stato così nelle composizioni digitali del nostro che con questo lavoro dal titolo Bacanadera dimostra ancora di più quel saper padroneggiare la forma e le sue derive. Disco intenso dove atti migratori sono in itinere, dentro cui rintracciare l’Africa quanto il Brasile, un’Europa industrializzata come timide sequenze di pop e di folk. E poi l’aspetto vocale, campionamenti dal manto opaco che somigliano più a preghiere laiche, a maschere, a sogni ciclici. Immersivo e introspettivo. Niente è lasciato al caso… buon viaggio!
Un disco apolide. Un disco sulla condizione umana a prescindere dalla geografia e dalle politiche. Un disco che ci riconduce all’esistenza primaria. Almeno io l’ho voluto leggere così… che ne pensi? In un certo senso è come dici tu. Questo progetto è nato dal tentativo di scavare nel profondo, partendo dal mio inconscio. Un percorso che ho voluto intraprendere con me stesso. Quando si intraprende questo tipo di cammino, ci si spoglia di tante sovrastrutture e ci si trova davanti a ciò che realmente ti rappresenta. Quello che ti posso dire è che in questo discendere dentro me stesso, ho incontrato tante figure, immagini, spesso ancestrali, legate, non solo al mio immaginario personale, ma credo anche, in un certo senso, ad un immaginario collettivo. E così ho messo a nudo le sensazioni, e mi sono scontrato con quell’imprinting primordiale che mi ha fatto amare così tanto la musica. Ho cercato quindi di rappresentarlo così come mi si era presentato, nella sua originaria purezza
Tanti suoni a corredo presi dal mondo quotidiano. Perché questo bisogno di un’ancora esterna alla musica propriamente detta e pensata? Più che un’ancora la definirei una caratteristica di un linguaggio, un linguaggio musicale in questo caso, o sonoro. Ogni epoca ha avuto un suo linguaggio musicale. La musica reiterata, ovvero la possibilità di riprodurre i suoni registrati, attraverso apparecchiature fisiche, è la più grande rivoluzione nel campo della musica e del suono, da più di un secolo a questa parte. Oggigiorno, addirittura, attraverso la tecnologia, puoi portare questa possibilità all’estremo, ovvero registrare e stravolgere i suoni, contaminarli, sovrapporli, e credo che questa sia una di quelle cose che può donare, alla creatività di un musicista, miriadi di possibilità. A me serve per creare un contesto, per evocare sensazioni, per rappresentare uno scenario, per colorire delle ritmiche, per portare all’estremo delle vibrazioni. Per trasportare l’ascoltatore nel mio mondo visionario e musicale
Eccoti un’altra mia chiave di lettura. Spesso nei brani c’è la sospensione di qualcosa che deve prepararsi, un concerto, una festa, una intenzione… poi tutto appare e prende derive diverse dalle nostre attese. Come a dire che la vita è così, paradossale anche se vuoi… cosa mi dici? Sai qual è una delle mie citazioni preferite, non ricordo se l’ho già detto in qualche altra occasione ma ci sta a pennello per rispondere alla tua domanda. È una cosa che disse John Lennon: “la vita è quello che ti capita quando stai pensando a qualcos’altro”. Credo sia una grande verità, soprattutto oggi, nello scenario della vita contemporanea. E questa grande verità prende spesso corpo nella mia musica, positivamente, perché credo che lo stupore, la sorpresa per l’imprevedibile, sia una delle cose più eccitanti che ci sia nell’arte, anzi ti dirò di più, credo che addirittura costituisca l’essenza stessa di ogni espressione creativa. È uno sguardo verso il futuro, un atto rivoluzionario contro la banalità
E poi le foto che metti a corredo, come la copertina. Le maschere… come a dire che non servono i volti? Gli uomini sono tutti uguali su questa terra e tutti in fondo mascherati dentro le loro vite? Si è così, hai colto bene il senso. È una provocazione. Particolarmente in questa nostra epoca, abbiamo perso il senso dell’identità. È una caratteristica dell’era moderna, che è andata peggiorando da un secolo a questa parte. Tema già sviscerato in lungo e in largo, da artisti, filosofi, comici addirittura: da “uno nessuno e centomila” di pirandelliana memoria, al sarcasmo di Totò nel film con Paolo Stoppa “Siamo Uomini o caporali”. Oggi più che mai la nostra identità è liquida (per citare Bauman), inafferrabile, perché ci facciamo assorbire dalle maschere, dai ruoli che siamo chiamati ad interpretare quotidianamente, perdendo così, il contatto con la nostra essenza, in poche parole con la nostra spiritualità. E come se avessimo smesso di chiederci chi siamo veramente e che ci facciamo su questa terra ed accettassimo, inconsciamente, di vivere meccanicamente. Si è smarrito il senso dell’esistenza
In rete due video ufficiali. Su tutto svetta un concetto importante: sembra che metti a paragone l’uomo con la sua tecnica, con le sue maschere e con le sue fragilità. In diverse chiavi ma penso sia molto questa la chiave, vero Si esatto, torniamo al concetto di prima. Le maschere che siamo costretti ad indossare sono come dei demoni, che ci impongono determinati comportamenti e che accecano la nostra capacità di riconoscere dove sta il marcio delle nostre esistenze e dove, invece, sta il buono. Alla fine lo scopo di ogni esistenza è quello di provare, almeno di provare, ad essere felici. Per farlo dobbiamo riappropriarci della nostra esistenza, dobbiamo avere il coraggio di dire addio alle cose che non ci fanno stare bene, e spesso non riusciamo a farlo perché crediamo che, facendolo, tradiamo il nostro ruolo sociale, la nostra maschera, quella che ci siamo autoimposti di indossare per essere qualcuno nel contesto sociale. Quindi, come dicevi tu, sicuramente il tema delle fragilità dell’uomo contemporaneo, ricorre spesso nel mio immaginario. Così come quello del rapporto tra uomo e tecnica che ha vissuto sempre la dicotomia tra evoluzione e regressione. La tecnica e la tecnologia possono essere strumenti di libertà così come di oppressione. Viviamo in una società dominata dalla tecnica e dai processi produttivi che tendono sempre più a schiacciare l’individuo in un vuoto esistenziale. Per reagire a questo stato di cose, è importante tenere viva l’immaginazione, e ricordarci che non esistono solo il profitto e la posizione sociale, che non siamo solo consumatori e lavoratori. Siamo anche sentimento e anima. La musica, la creatività, l’arte, rappresentano ancora, degli strumenti potenti in grado di farcelo ricordare
Articolo del
08/04/2022 -
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