L’uomo si vergogna della propria insufficienza al cospetto della straripante perfezione delle macchine che costruisce. La cultura supera la natura, come dice Günther Anders.
«La vita si adorna del lucente cellophane della “serena apparenza”» tanto più vige per l’arte il dovere inderogabile di «essere “seria” ». AUT AUT è il progetto di Andrea Biondi (vibrafono + live electronics) e Jacopo Ferrazza (contrabbasso + live electronics.) Hanno definito il loro progetto un “luogo mentale di sintesi” che prende forma dall’arricchimento delle esperienze che i due artisti fanno fuori dal duo. Entrambi vantano carriere importanti: Andrea Biondi dal 1996 al 2006 ha lavorato con orchestre sinfoniche: Youth Orchestra di Londra, Orchestra Vaticana, Conservatorio di Santa Cecilia.
Dal 2001 al 2010 ha collaborato con Ennio Morricone e la Roma Sinfonietta suonando in Europa, Stati Uniti, Giappone e Russia. Dal 2005 collabora con il "Parco della music Jazz Orchestra", diretto da Maurizio Giammarco e con l'Orchestra Operaia, diretto da Massimo Nunzi. Jacopo Ferrazza inizia la sua carriera come musicista jazz a Roma nel 2003, suonando con alcuni dei musicisti più acclamati del genere. Nel 2018 è stato selezionato come uno dei tre talenti italiani da Top Jazz e successivamente ha vinto il Premio SIAE come uno dei migliori musicisti jazz italiani. Si è esibito in Italia, New York, Washington, Carolina del Nord, Illinois, Cina, Finlandia, Marocco, Corea del Sud, Turchia, Europa e Giappone. Due artisti con la A maiuscola, padri di un progetto come pochi oggi in Italia. Vi lascio all’intervista perché vorrei fossero loro a raccontarvi AUT AUT e il disco omonimo uscito a ottobre 2020.
Venite entrambi dal mondo del jazz e da una formazione classica. Da dove nasce Aut Aut, progetto spiccatamente alternativo che sposa l’elettronica?
Aut Aut nasce anzitutto da un piano comunicativo tra due esseri umani che hanno scoperto a distanza di anni di essere diversi in un modo creativo ed inclusivo, quindi compatibili proprio nella diversità. Non abbiamo mai cercato certezze reciproche e condivise, e forse proprio per questo ci siamo fidati delle nostre diversità senza mai chiedere l’uno a l’altro di abbracciare ciecamente una visione; non lavoriamo praticamente mai a “4 mani”, semmai lo facciamo dal vivo senza mai preparare nulla.
Quanto al nome del progetto, che evoca peraltro il testo chiave dell’esistenzialismo firmato da Kierkegaard, ‘aut aut’ è una locuzione latina che implica di norma una scelta: “o questo…o quello.” Il nome del progetto è legato in qualche modo alla volontà di obiettare questo obbligo di scelta tra due cose? E che quindi si possa essere “figli di Perotinus e padri delle macchine virtuali”, cioè lo sposalizio bellissimo tra la tradizione e innovazione.
Assolutamente si! Aut-Aut per noi rappresenta un “punto d’equilibrio”, guardando il nome senza associazioni di senso si può intravedere una simmetria perfetta come fosse una identità matematica; entrando invece nel campo semantico per noi Aut-Aut ha un valore nell’etimo e non nel senso comune attuale. Oggi viene usato per definire divieto o l’imposizione di una scelta, per noi si riferisce proprio al valore intrinseco di “chi tiene conto di qualcosa e del suo esatto contrario”.
Il Novecento, secolo fondamentale per l’arte che la vede esprimersi in ogni forma in modo totalizzante. Aut Aut riflette in quasi tutti i brani una tensione che possiamo definire quasi postmoderna. Quanto è importante per voi lo sguardo al passato per riuscire a produrre oggi?
Lo sguardo di cui parli è per noi fondamentale, senza di esso avremmo prodotto un disco di musica elettronica tipo dj set. Diciamo che il background veramente comune, cioè quello che tiene in piedi il tutto è l’idea che il 900 è stato, e continua ad essere, un secolo molto presente che non può essere messo sotto il tappeto. Per 900 intendiamo tutto il 900 che parte da Diaghilev, Bartok, Stravinsky arrivando a Berio, Maderna, Scelsi, fino ad arrivare a Demetrio Stratos, Kathy Berberian, Carmelo Bene.
Vi conoscete da tanti anni. Quanto incide questo aspetto nella performance live? Immagino si crei spontaneamente un dialogo costruito sulla fiducia e la stima professionale.
Ci conosciamo da più di 10 anni, in questo periodo abbiamo fatto tante esperienze in comune; e questo ha rinforzato la nostra amicizia. Ma la cosa ancora più significativa è che abbiamo parallelamente fatto anche tante cose diverse che abbiamo inconsapevolmente messe a disposizione del Duo, facendolo diventare un “luogo” mentale di sintesi.
Come definireste l’arte dell’improvvisazione, marchio jazzistico per eccellenza. E’ un qualcosa che si può imparare o è una qualità innata in un musicista? La risposta corta è: l’improvvisazione non si improvvisa. (ride) Dilungandoci un pò, possiamo dire che nella sua forma più alta, praticare l’improvvisazione (termine che a prima vista lascia intravedere un senso di libertà) vuol dire praticare l’abitudine a liberarsi dentro strutture, che per definizione sono “oggetti” tutt’altro che liberatori. In altri termini, l’arte dell’improvvisazione insegna a “liberarsi” dentro una prigione.
Nei brani di Aut Aut zero parole, solo musica che riesce perfettamente ad esprimere un qualcosa lasciato all’immaginazione del pubblico. Ciascun brano nasce da mere sensazioni o si collegano a tematiche ben definite?
A pensarci bene è proprio la “musica senza parole” che libera un impulso maggiore all’immaginazione (ancor di più intesa come onirico); se pensi invece al testo di una canzone, i significati di quel testo, al massimo mettono in moto un processo di rispecchiamento e di immedesimazione ma non per forza aprono all’immaginazione allo stato puro.
Posso dire che date voce con la vostra musica alla realtà circostante? Alcuni brani lo lasciano pensare come Voci del lavoro, per esempio.
In questo brano ho utilizzato dei campioni di voce significante: interviste degli anni ‘60 in cui trovano voce alcuni emigrati italiani costretti all’epoca a spostarsi dall’Italia per motivi di lavoro e li ho fatti convivere con la nostra smemorata contingenza con campioni di attuali migranti africani che dicono che la terra da loro lasciata somiglia molto a Napoli. Mi sembrava un modo umile ma efficace per far parlare il passato con il presente.
Aut Aut esce ad ottobre 2020 anticipato da due singoli nel corso dell’anno: Groovy e Tia Mak, entrambi accompagnati da videoclip che offrono al pubblico una chiave di lettura che potrebbe avvicinarsi alla vostra interpretazione. Notavo nel video di Groovy che, immagini rappresentanti la massa della modernità cui fa da soundtrack una base elettronica, vengono accostate ad altre che hanno come sottofondo delle sonorità jazz sopra immagini rappresentanti la natura che segue il suo corso biologico. E’ una scelta questa che mette in luce una differenza e insieme una denuncia a ciò che è contro natura o manipolato per esempio, dall’uomo?
Assolutamente sì! E’ la infinita ed inesauribile domanda antropologica tra Natura e Cultura.
Rimanendo sempre su Groovy, musicalmente e con l’aiuto visivo del video, sembra abbiate reso la brutalità dell’artificio umano. Ad un certo punto appare Vincent Cassel in un frame del film La Haine di Kassovitz: è l’odio, dunque, a manovrare la mano distruttiva dell’uomo? Anche Topolino nelle vesti de L’apprendista stregone, intento nella discesa verso un danno irreparabile sembra suggerire questo.
Groovy nasce dall’ascolto di Daphnis et Chloè di Ravel, verso il centro di questa opera monumentale compare un disegno degli archi reiterato che mi ha fatto pensare subito alla musica di Steve Reich (Electric counterpoint, The Cave), con la tecnica del re-sampling ho importato alcuni spunti melodico ritmici, costruendo intorno un ambiente sonoro che potesse convivere con il materiale originale di Ravel. Riguardo l’interpretazione del video, rimango sempre dell’idea che, chi produce un significante può al massimo arrogarsi la suggestione di un qualcosa, poi i significati è meglio lasciarli a chi fruisce di quel qualcosa; quindi la Vostra lettura di Groovy e del suo video è bella e quindi giusta!
Tia Mak è la seconda release: brano ricco di riferimenti importanti come quello ai Pink Floyd, in cui una dimensione intima ed emotiva espressa dal piano, cresce fino al raggiungimento di un sound elettronico. Dal videoclip si evince la paura, che è più una resistenza a rimanere all’interno di un qualsiasi involucro che non coincida con l’ambiente esterno, dominato da un mondo distopico, estraneo e che mette angoscia. Qual è il significato del brano?
Tia Mak nasce come una composizione di protesta, un brano in grado di sublimare le sensazioni contrastanti derivate dal vivere odierno. La struttura del brano accompagna l’ascoltatore attraverso un processo di consapevolezza e realizzazione della situazione umana attuale e della propria ribellione interna. Il brano inizia infatti con un andamento quasi sopito, che rappresenta il vivere inerme dell’essere umano, assuefatto dalla pressione quotidiana degli eventi. Improvvisamente l’atmosfera cambia, c’è un risveglio e un picco di dinamiche: E’ l’uomo che si desta, si rende conto della realtà del suo presente e inizia a ribellarsi. Nel proseguire il brano mostra sempre più spigolature dinamiche e timbriche alzando il pathos e portando l’ascoltatore a immedesimarsi con l’uomo ribelle. Le urla crescenti rappresentano il conflitto interno all’apice della forza e lo sfogo finale dell’uomo che non accetta più ciò che lo circonda.
Mi è piaciuto tanto Creation: musica spirituale che sembra simulare per l’appunto una creazione, poi un climax che si risolve al minuto 2.31 in un’esplosione delicatissima in cui sembra rivelarsi qualcosa. Da cosa nasce Creation?
Creation rappresenta il processo di creazione. Non ha significati religiosi ma più spirituali e, se vogliamo, esoterici. Nel brano vengono descritte le sensazioni ancestrali della creazione, sia essa della terra o delle creature, vengono rappresentati i flussi sonori e i fluidi che si intrecciano e si rincorrono attraverso gli strati sottili di ciò che ancora non è compiuto. Abbiamo voluto rappresentare il magma, la placenta, il vento, la terra e tutto ciò che si forma, anche attraverso un grande sforzo, per poi prendere vita e forma compiuta al minuto 2:31. In quel momento tutto si placa, tutto diventa accettazione della realtà e della verità acquisita. La conclusione del brano rappresenta infatti la trasformazione conclusa e la messa in moto di tutte le funzioni vitali necessarie al proseguo della vita dell’entità appena creata.
Per concludere: i tanti attesi live! Cosa dobbiamo aspettarci da Aut Aut duet? Porterete il disco in tour non appena il clima bellico si sarà placato?
Noi lo speriamo tanto! Sicuramente appena sarà possibile ci dedicheremo a rappresentare Aut Aut dal vivo e la speranza è di farlo in contesti live diversi e più variegati possibile. Abbiamo la speranza che ciò possa accadere presto e la fiducia che spettacoli musico/teatrali possano riaprire gli occhi e il cuore alle persone che come noi sono rimaste bloccate per troppo tempo.
Articolo del
22/01/2021 -
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