Le Fate Sono Morte è il nome di una band originaria del varesino attiva già dal 2008. I frequenti cambi di line-up non le hanno permesso, in questi primi anni di carriera, di giungere alla produzione di un album ufficiale, pur riuscendo a dare alla luce diversi Ep e calcando molti palchi di prestigio nel milanese e nel resto del settentrione. Finalmente, però, in questo 2014 è stato dato alle stampe il loro debut album dal titolo emblematico: “La Nostra Piccola Rivoluzione”. Di rivoluzionario, in realtà, vi è ben poco in questo prodotto, genuino e irrazionale al punto giusto, ma certo non innovativo, nemmeno per la stagnante e navigata (usando un eufemismo) scena musicale italiana. Si tratta di una variegata composizione di brani vicini allo sporco grunge dei primi anni '90, di ballate pop dalla doppia anima, alla ricerca di un lirismo testuale esasperato e metropolitano che contrasti perfettamente con la vocalità grezza e disillusa del cantante Andrea Di Lago, e di accenni alla tradizione cantautorale nostrana, niente di più, niente di meno. Il tutto, ovviamente, dà vita ad una serie di soluzioni intriganti, ma non sempre efficaci. L'apertura è affidata a un pezzo particolare, che rimane quasi a sé stante nell'economia del disco: A Parte Il Freddo inizia come una malinconica ballata acustica per confluire, superata la metà, in un pop spento, caratterizzato da una poco piacevole patina elettronica. Completamente differente l'arrangiamento di Ipnotica, secondo traccia ruvida e aggressiva, parente stretta delle seguenti Arriva La Neve e In Ogni Mio Sorriso ma, a differenza di queste, banale e poco riuscita. È Già Settembre, primo singolo estratto dall'album, è invece una ballad che non si perde in ghirigori di altro genere, rimanendo univoca e positiva, seppur leggermente piatta. Anime Artificiali rivela la vena pop rock del quintetto, venendo tuttavia salvata esclusivamente dalla poesia degli intermezzi di violino. Conferma una buona ricerca armonica Il Limite, mentre annichilisce l'ascolto l'ossessiva Senza Pace, uno dei più grandi passi falsi del disco. Il meglio, fortunatamente, lo si trova nel finale: la chiusa di La Storia Siamo Noi ci porta in un fragoroso grunge made in Italy, di discreta qualità, mentre la penultima Niente (nondiventeremo) ci regala il miglior momento del full length, con il cantato-recitato del Di Lago che esprime al meglio la propria frustrazione e la volontà, turbata ma decisa, di attuare la “piccola rivoluzione” protagonista del titolo. Nel complesso, dunque, il disco ci regala alcuni spunti di riflessione e qualche accenno di buona musica, merito soprattutto del violino di Daniele Pezzoni e della chitarra di Federico Calandro, mentre i ritmici Giuseppe Musto e Stefano Felli fanno il proprio con grinta e professionalità. È più che apprezzabile la scelta di adattare il sound anglosassone del proprio stile ai testi in lingua madre, non sempre ineccepibili, ma perlomeno utili nel rispecchiare la personalità del gruppo. Una critica costruttiva la si potrebbe rivolgere al frontman, reo di uno cantato monocorde, di una continua iper-espressività che alla lunga diviene asfissiante e finisce per rendere fin troppo omologate le varie tracce. Non è un caso che il miglior brano del disco sia l'unico nella quale Di Lago abbia deciso di tentare qualcosa di diverso. Bisognerà crescere ancora, sotto questo punto di vista. D'altronde, il tempo a disposizione è ancora molto. La rivoluzione non ha funzionato; arrendersi sarebbe, però, il più grave degli errori. Arrivederci, Fate.
Articolo del
16/08/2014 -
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