Se c'è una certezza riguardo la musica italiana, è che in passato (anche recente, se vogliamo) siamo stati in grado di comporre musica pop che avesse un'anima. In questo vasto, e commercialmente proficuo, genere abbiamo spesso potuto dire la nostra, specialmente quando ci si è affidati ad una tradizione cantautorale ben consolidata nel tempo. Ora, tutto questo emerge, forzando un po' la mano, anche dal lavoro di Elya, giovane cantautore abruzzese dal curriculum ricco ed impossibile da trascurare: due album all'attivo, apparizioni in programmi radiotelevisivi di emittenti a grande diffusione (Rai, Mediaset, Sky), partecipazioni a festival svariati, ad eventi benefici quali “Tutti insieme per L'Aquila”, e semifinalista alle selezioni di Sanremo 2010 per la categoria 'nuove proposte'. Insomma, una carriera già piuttosto corposa, dalla quale non ci si può che aspettare un prodotto, se non maturo, quantomeno competitivo. “Il Mio Canto E’ Questo Rock” - che poi tanto 'rock' non è, aggiungerebbe il malizioso recensore - composto da sei tracce per un totale di circa venti minuti, e accostabile più facilmente ad un Ep che ad un full length. E’ un disco ancora grezzo, non tanto nella produzione (definendola perfetta non si userebbe un'iperbole) curata da un grande professionista quale Fabio Pignatelli, quanto nella composizione e sintetizzando: le idee ci sono, ma forse sono troppo povere per poter essere già prese in seria considerazione. A far sorgere i dubbi maggiori, non sul talento dell'artista in questione, ma sulla salute del cantautorato italiano, è una semplice considerazione: il brano di gran lunga migliore del disco in questione è la sesta ed ultima traccia Quanto T'Amo, una cover di un pezzo di fine anni '60 interpretato da Johnny Hallyday e tradotto dal compianto Bruno Lauzi. Nella riproposizione ‘eliana’, la canzone acquista sonorità più moderne senza perdere la sincerità del sentimento né la piacevolezza della melodia. Ma resta il fatto che gran parte dei meriti vanno resi a coloro che scrissero questo bel brano oramai anni or sono.
Quanto alle restanti cinque tracce originali, si può omaggiare l'ottima esecuzione dei musicisti (tutti turnisti di alto livello, collaboratori, tra gli altri, di Venditti) e la gradevolezza del timbro del cantante abruzzese, oltretutto dotato di una buona espressività. Se l'opener e title-track Il Mio Canto E’ Questo Rock si assesta su sonorità 'ultimo-ligabuesche', e la seguente La Luna Ora Lo Sa rasenta la mediocrità, senza tuttavia sprofondarvi del tutto, ad alzare il tiro ci pensano la più che valida Ci Sei Tu, ballata intensa e a tratti sofisticata, nella quale Elya ha la possibilità di mostrare tutta la sensibilità del proprio animo, la semi-dialettale Incanata, che omaggia la terra d'origine del cantautore, riprendendo un canto della tradizione popolare abruzzese, e infine il pop più sereno e confortante di Capita Anche A Te. Senza voler togliere meriti al giovane Elya, è dunque legittima una sensazione di lieve delusione, figlia di aspettative forse eccessive. Tuttavia, il recensore è convinto del fatto che, tra gli album emergenti capitatigli tra le mani negli ultimi tempi, questo possa essere l'unico che avrebbe le carte in regola per provare a valicare i confini dell'underground italico. A voi il compito d'interpretare questa impressione. Per concludere, sembra più che opportuno sottolineare la scelta del cantante abruzzese di devolvere i proventi (ipotizzabili) dell'album alle Missioni Francescane del Burkina Faso. Una decisione non comune e degna - questa sì - di grandi applausi e di unanimi consensi.
Articolo del
23/11/2013 -
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