Prima di provare ad avanzare una descrizione quanto più obiettiva del nuovo progetto discografico targato Elias Nardi Quartet ed intitolato ”The Tarot Album”, è pressoché necessario fornire alcune informazioni principali sul leader del gruppo, o per meglio dire, sull’artista che ha posto le basi per questa intrigante esperienza musicale. Del resto stiamo parlando di una realtà “sonora” purtroppo poco considerata dai media più influenti. Proprio per questo è opportuno contestualizzare brevemente. Elias Nardi nasce in provincia di Pistoia (a Pescia per l’esattezza) nel 1979. Nella prima parte della sua formazione artistica, il musicista toscano approfondisce lo studio dell'oud, sviluppando un personale approccio allo strumento seppur nel pieno rispetto della tradizione “liutistica” mediorientale. Parallelamente porta avanti i suoi studi di contrabbasso classico cominciando ad esplorare in maniera sempre più preponderante il jazz. Grazie al contatto costante con diversi musicisti arabi, Nardi, secondo l’antico metodo della tradizione orale, assorbisce nel tempo non solo un’adeguata tecnica del liuto ma anche delle idonee conoscenze teoriche relative al sistema musicale arabo, vale a dire lo spirito e il senso di una musica modale che si tramanda ormai da secoli da maestro a discepolo.
Per far comprendere la caratura artistica di Nardi, basta citare giusto una manciata di autentici pilastri della musica contemporanea con cui questi ha avuto modo di collaborare in passato, condividendo con loro palchi nonché sessioni di registrazione: Ares Tavolazzi, Riccardo Tesi, Didier François e Max Manfredi. Per il noto cantautore genovese Nardi ha curato alcune parti strumentali presenti nell’incantevole “Luna Persa”, di certo uno dei dischi italiani più belli ed intensi dati alle stampe nel nuovo millennio e, non a caso, vincitore della Targa Tenco nel 2009. Nell’anno successivo vede poi la luce il primo Lp del trentaquattrenne polistrumentista: “Orange Tree”, questo il titolo, raggiunge addirittura il terzo posto della classifica relativa alle migliori produzioni Etno/Folk/Revival nell’ambito del Premio Italiano della Musica Popolare Indipendente del 2011. Dopo circa un biennio è così arrivato il seguito ideale di “Orange Tree: The Tarot Album”, sfornato nella seconda metà del 2012, rappresenta un netto passo in avanti per Nardi e la sua band, nel senso che testimonia un’enorme crescita, un’importante maturità raggiunta dal punto di vista qualitativo e sperimentale. Rispetto ad Orange Tree, frutto di una scrittura lenta e ponderata, ”The Tarot Album” svetta subito per un concepimento maggiormente rapido, fluido, istintivo, coerente e per la presenza di un numero più consistente di tracce. Sono infatti ben diciotto i pezzi – interamente strumentali – presenti nella raccolta, per un totale di quasi settanta minuti di durata complessiva. Minutaggio eccessivo? Non proprio. Bisogna infatti specificare che qui si sta parlando di un disco talmente omogeneo e suggestivo che, in fin dei conti, non denota un’eccessiva ridondanza. In questo nuovo lavoro si avverte inoltre una sorta di abbandono di quel suono che, seppur già sperimentale, finiva con l’avvicinarsi nettamente alla musica antica, piuttosto che al folk e alle atmosfere proprie del bacino meridionale del Mediterraneo. Ne deriva perciò un’impronta sonora nettamente moderna, quasi come se si trattasse di un ritorno verso un Occidente contemporaneo.
Al di là di tutto, la preminenza indiscussa di uno strumento come l’oud permette qui di scorgere puntualmente un taglio stilistico dai risvolti squisitamente esotici. Una svolta del genere è stata senza dubbio garantita da un non indifferente cambio di line-up: del quartetto che lavorò su “Orange Tree” è rimasto infatti solo il bassista Carlo La Manna; la nyckelharpa di Didier François è stata invece sostituita dal piano, dalle tastiere e dai synth di Roberto Segato, determinanti per consentire un accostamento non poco marcato alle sonorità jazz e addirittura psichedeliche. L’ingresso in pianta stabile nella band di Zachary James Baker ha infine permesso di mettere da parte quelle percussioni un po’ troppo “meridionali” ed evidenti nel disco, se non altro grazie alla scelta di avvalersi di un set minimale di batteria. Tutto ciò ha quindi consentito al complesso di raggiungere e costruire un sound in grado di oscillare fra dimensioni acustiche ed altre più spaziali, siderali. Considerando il nutrito numero di componimenti è quindi inutile azzardare un’analisi traccia per traccia. L’unica cosa che ci si sente di aggiungere su “The Tarot Album” riguarda il grande spessore generale che lo connota. Si tratta di un lavoro suonato benissimo, orchestrato con estrema professionalità. Non è una produzione alla portata di tutti e questo dovrebbe essere abbastanza chiaro. Per comprenderla bene non è tanto essenziale una rigorosa conoscenza teorica della musica, quanto piuttosto un ascolto appurato, paziente, e poi una discreta curiosità verso la musica etnica e la sperimentazione in senso lato. Prodotto dallo stesso Nardi con la complicità dei già citati La Manna e Segato, “The Tarot Album” è stato inciso tra l’estate e l’autunno del 2011. Missato e masterizzato dal virtuoso fondatore del complesso assieme a Giacomo Plotegher, il disco è uscito per l’etichetta Zone Di Musica.
Articolo del
04/02/2013 -
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