Tanti sono i motivi per cui un progetto come quello dei Julien andrebbe lodato. Perché in appena tre anni di attività hanno già rilasciato due album tanto stravaganti quanto geniali; perché nonostante siano un gruppo emergente hanno la possibilità di incidere il proprio materiale negli Stati Uniti; perché posseggono un’infinità di idee che sanno sviluppare sempre con un pizzico di originalità; perché riescono a spaziare tra i generi con un’imprevedibilità straripante; perché scelgono di autoprodursi i dischi quando potrebbero tranquillamente affidarsi alle etichette indipendenti più prestigiose del nostro Paese; e poi perché sono in due. E ci fermiamo qui. Ma chi sono i Julien? Si tratta di una band nata a Roma nel 2009. Composto dal cantante e chitarrista Matteo Senese e dal batterista Andrea Vettor, l’eclettico power duo ha da poco sfornato un nuovo Lp. L’hanno intitolato “Seattle Calling”, e rappresenta il seguito ideale di “Julien”, prima fatica discografica che ha visto la luce nel 2011. Perché “Seattle Calling”? Semplice: perché le registrazioni sono state effettuate proprio nella città natale del grunge. E il bello è che il materiale inciso all’interno del Khaoss Studio di Seattle è frutto di una esaltante sessione dal vivo. Aspetto, questo, sicuramente curioso ed apprezzabile, anche perché capita sempre più di rado che un gruppo opti per la presa diretta. Fortunatamente i Julien ragionano in maniera inversa e puntano tutto sulla purezza del suono, nonostante la scelta di avvalersi anche di espedienti elettronici. Ma cosa ci si deve aspettare da un album come “Seattle Calling”? Istrionismo, innanzitutto. E quindi estro, capacità di sorprendere. Capacità di passare da registri sonori più ruvidi, graffianti ad altri squisitamente sintetici, se non addirittura vintage. Insomma: non si pongono limiti questi Julien. E la conferma arriva anche denotando, all’interno del lavoro, non solo la presenza di brani strumentali – è il caso di Intro e di Going Around, le due tracce che vanno rispettivamente ad aprire e a chiudere l’album – ma anche di pezzi caratterizzati sia da liriche di stampo inglese, sia da testi in italiano. Emblematiche, in tal senso, È Un Paese Per Vecchi e Festino A Roma Nord. Se, ad esempio, in Dejavù e Energy Drink prevale l’accezione più roboante (con schitarrate in bilico tra i primi Kills e i Black Keys di “Brothers”), è in episodi come Just A Beat, Last Call e Weird che si palesano le influenze particolarmente wave, o se non altro le riconoscibilissime atmosfere anni Ottanta. Proprio un bel caleidoscopio musicale questo “Seattle Calling”, scritto ed arrangiato, fra le altre cose, in tempi brevissimi. Il che fa ulteriormente onore ad una delle realtà sicuramente più intriganti dell’underground capitolino, pronta, con questa brillante produzione, ad imporsi su scala nazionale. La speranza è che questo disco non passi inosservato, cosa purtroppo assai comune per tutte quelle produzioni non sostenute da alcun tipo di etichetta o agenzia di booking. Dal canto nostro ci sentiamo vivamente in dovere di consigliare questo lavoro. E invitiamo tutti a seguire con maggiore attenzione il cammino futuro dei Julien, magari partendo proprio da “Seattle Calling”, scaricabile anche gratuitamente dal sito ufficiale della band. Cosa aspettate?
Articolo del
09/10/2012 -
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