Piace. E in un certo senso convince. Del resto la sensazione che l’eponima raccolta d’esordio dei Granada Circus, brillante quartetto rock capitolino, sia ben prodotta e strutturata si palesa fin dal principio. E la cosa più interessante è data dal fatto che, con il susseguirsi degli ascolti, il disco finisca per intrigare in maniera crescente. Più lo si assimila, più si riescono ad apprezzare i curiosi accorgimenti sonori che la band, attiva da circa tre anni, è stata in grado di assemblare in quello che può tranquillamente essere definito un album dai mille volti. Infatti, all’interno di “Granada Circus”, interamente registrato al Boiler Studio di Roma, sono condensate le tre diverse fasi artistiche che hanno caratterizzato la prima parte del loro percorso musicale. Dalle tracce cantate in inglese, composte prevalentemente agli esordi, si passa per composizioni strumentali (basti pensare a Jimmy G. e K3/Siel) fino ad arrivare ai due episodi – in realtà sarebbero tre se si considera la traccia fantasma – squisitamente “italici”: L’Inverso e L’Universo. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una take frizzante e spedita, in cui spiccano le pennate quasi funky; nell’altro si avverte un tipo di approccio abbastanza differente. L’Universo si presenta infatti come una canzone più tagliente ed articolata, almeno dal punto di vista della costruzione. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. A questo punto è chiaro come il gruppo dimostri di saper padroneggiare a dovere qualsiasi situazione, riuscendo a sviluppare con sapienza e istintività ogni idea. Segno, questo, di una discreta coerenza di fondo, oltre che di una non indifferente preparazione musicale alle spalle. La grande versatilità di questo disco non risiede soltanto nella capacità di passare continuamente dai brani più legati alla forma-canzone ad altri più dilatati e strumentali, ma anche nella tendenza ad unire elementi sonori vagamente datati ad altri più moderni, attuali e, in un certo senso, personali. Qualche esempio? Si prenda il breve incipit della già citata L’Inverso: basta poco per notare i labili rimandi ai pregevoli intrecci chitarristici che pervadevano i brani dei grandissimi Karate (specialmente quelli di inizio carriera). Poi ovviamente la canzone prende tutt’altra piega, ma questo è un altro discorso. E che dire di K3/Siel? Anche lì si scorgono alcuni elementi in bilico tra il post-rock dei God Is An Astronaut e il velato shoegaze alla Jesus And Mary Chain. Cosa vuol dire questo? Che i Granada Circus, oltre a possedere buoni stimoli creativi, sono soprattutto degli attenti ascoltatori. E questo non è poco, specialmente in un periodo in cui l’ascolto e la ricerca musicale appaiono sempre più confusionari, superficiali. Invece è molto utile guardarsi intorno, lasciarsi contaminare. Certo, l’importante è che non si scopiazzi! Tuttavia, almeno all’interno di “Granada Circus”, tale rischio è ampiamente scongiurato. In ogni caso è comunque piacevole scorgere determinati – e sottili – richiami ad alcuni progetti che hanno reso a dir poco travolgente il filone alternativo angloamericano dei due decenni passati. Se a tutto ciò si aggiunge la grande energia messa in atto dal progetto romano, allora si ha l’automatica conferma che le dieci tracce in scaletta – undici se s’include la ghost track finale – siano un perfetto biglietto da visita. Una nota di riguardo anche per il booklet dell’album, ricco di illustrazioni ai limiti del grottesco e, a tratti, allucinogene. D’altronde la stessa copertina ricalca un po’ il taglio stilistico che si ritrova all’interno del libretto. Un motivo in più per acquistarlo ad uno dei loro concerti, no?
Articolo del
12/07/2012 -
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