I Dirtyfake tornano alla ribalta con un nuovo EP dal titolo “Shallow Depths” che in italiano potrebbe suonare come “profondità superficiale”. Loro sono una band romana, che si muove, spazia, affonda le radici nell’Underground. Un sottosuolo che ha molto da dire e il cui punto di forza è proprio la poca visibilità che ha come conseguenza la libertà di espressione, la quale, a sua volta, coincide con una comunicazione efficace, ben riuscita, proprio perché autentica, sincera. Se con il precedente “Tumorrow” i Dirtyfake si sono distinti per svariati elementi di originalità ponendo le influenze musicali in modo così evidente da poter liberare in modo sottile la loro poetica personale , con questo nuovo lavoro limano ancor di più alcuni punti. Mi riferisco quindi al sound, sempre più calibrato. L’alternanza di acustico/elettrico, di voci sussurrate e grida nevrotiche va di pari passo con il loro voler “storpiare” le parole, evidenziare i doppi significati. I riferimenti al rock indipendente americano, quello anni ’90, sono ancora molto presenti ma si ha la sensazione di un leggero distacco. I testi sono ambiziosi, il voler comunicare concetti profondi partendo da Debord, Popper, McLuhan, hanno una grande potenzialità. In “Shallow Depths”, registrato all'Hombrelobo studio di Roma e prodotto da Fabio Recchia (B for Banks, Germanotta Youth) e dalla band, vogliono giocare molto con la geometria, sui concetti di altezza e superficie: l’artwork molto bello sembra anticipare proprio questo. Sembra che più che puntare sulla novità musicale, l’originalità c’è nel modo in cui si vogliono comunicare certe sensazioni. Dalla quotidianità immorale dell’Italia al romanticismo, dalla rete, la cultura e l’alienazione alla malinconia come la intendevano i greci e i latini. Shallows Depths è un disco decadente, disilluso, ricco di stimoli se lo si ascolta con il desiderio di fuggire da superficialità e quotidianità. Va ascoltato di notte, preferibilmente da soli.
Articolo del
16/04/2012 -
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