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Gleam
Lady Psyché and her Heart Mechanix
2011
CD autoprodotto
di
Martina Consoli
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Musica per diletto, facciamoci compagnia per un paio d’ore in qualche bar in centro, i bresciani Gleam non avanzano nessuna pretesa circa il loro album intitolato “Lady Psyché and her Heart Mechanix”. Costituiti da due membri, ‘Il Sale’ e ‘Dave Pàiza’, rispettivamente di professione ingegnere l’uno e commercialista l’altro, dichiarano testualmente: “tra una busta paga e l’altra affermiamo tutto quello che normalmente non si può dire, lo diciamo in musica”. C’è da dire altresì che l’album è entrato ormai nel canale distributivo, primo o poi arriverà al fruitore finale a cui poco importa l’origine della musica che giunge alle sue orecchie, vuole semmai ascoltarla e decidere se soddisfa a pieno i suoi gusti. Considerato il lavoro che svolgono, si pensa che questo particolare non di certo trascurabile l’abbiano messo in conto. Partendo da questa premessa ci si avvia all’ascolto dell’album, il quale proprio così d’intrattenimento non sembra, prevalgono testi contorti ed intricati di cui spesso non si riesce a capire quale sia il loro reale significato. Vari sono i generi esplorati dalla band: pop, rock, indie, blues, intrisi di melodie semplici ma talvolta scanzonate e poco orecchiabili. Alcune delle canzoni sono il frutto di ispirazioni nate da viaggi compiuti dai due bresciani come “Berber Dance” e “Souls Of Africa” che rimandano al continente africano ed in particolare nella prima, il duo è riuscito a ricreare un’atmosfera dark e misteriosa inerente alla celebrazione di chissà quale rito magico. Altro paese citato è l’America, ben riuscite sono le descrizioni e i racconti di personaggi e luoghi conosciuti nella California che emergono da “29 Palms” in cui è interessante il soliloquio del songwriter che si chiede se dovrebbe scrivere un pezzo da hit destinato alle radio oppure se si può sbilanciare e magari mirare a qualcosa di diverso , “Frantic Touches, Lucid Dreams” che rende omaggio alla città di New York. Il resto dell’album procede sempre con le medesime melodie spesso incostanti e contorte, fin troppo stanche e ripetitive, l’ascoltatore si risveglia dall’assopimento solo alla nona traccia, “Awful voter”, in cui il ritmo sembra riacquistare un senso e il tempo musicale la compostezza che merita. E’ proprio questo pezzo che i Gleam dovrebbero tenere presente come punto di partenza per un eventuale prossimo album, a meno che non vorranno suonare solamente tra le quattro mura della loro casa.
Articolo del
26/08/2011 -
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